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L'incoronazione di Conte è il preludio dello tsunami economico

Riccardo Mazzoni
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Dopo l’ultimo Consiglio europeo, Conte è l’uomo del momento, il re Mida della politica: nel mezzo della pandemia Covid si era addirittura spinto a paragonarsi al Churchill dell’Ora più buia, ma le reminiscenze storiche dovrebbero fargli venire i brividi, perché appena vinta la seconda guerra mondiale Churchill fu sconfitto alle elezioni dai laburisti di Attlee, anche se poi si sarebbe preso una storica rivincita.

 

Ebbene, durante l’ovazione alle Camere che ha segnato il suo ritorno trionfale in patria dopo la maratona negoziale sul Recovery Fund, Conte avrà pensato che il paragone con Churchill forse gli stava perfino stretto: si sarà sentito, insomma, in diritto di vestire anche i panni dell’erede di De Gasperi e del suo rientro dal viaggio americano con in mano l’assegno da cento milioni di dollari staccato dall’amministrazione Truman. Non a caso in questi giorni si sprecano i paragoni tra Recovery Fund e Piano Marshall.

Ma mentre il premier è inebriato da questo tuffo nella storia, con tanto di claque osannante organizzata da Casalino fuori dal Senato, le cronache italiane raccontano tutt’altro, perché la tregua giubilante nella maggioranza è durata lo spazio di un mattino, ma soprattutto perché il Paese reale resta in grande sofferenza, tra tasse non prorogate, finanziamenti arrivati a singhiozzo, partite Iva vessate, turismo in crisi e ristoratori in difficoltà invitati a cambiare mestiere. Lo sciopero annunciato dai commercialisti, poi, sembra l’anticamera di uno sciopero fiscale vero e proprio, e si moltiplicano gli allarmi sui rischi di un’esplosione in autunno di una drammatica crisi sociale.

 

Di tutto questo sembra che il governo non si preoccupi, impegnato com’è ad alimentare il debito pubblico, una benzina che a lungo andare rischia di esplodere insieme a tutto il sistema-Italia. La realtà dice che siamo sull’orlo del baratro, con troppe famiglie e imprese vicine al default e con interi settori produttivi che, se riusciranno a sopravvivere, rivedranno la luce solo nel 2021. Dunque, gli aiuti del Recovery Fund rischiano di arrivare troppo tardi, quando la fine del blocco dei licenziamenti avrà già provocato un’ecatombe occupazionale e il 40 per cento delle nostre imprese avrà chiuso i battenti. Per cui le passerelle di Conte, dagli Stati Generali alle "ola" parlamentari, a quel punto saranno solo un imbarazzante ricordo. Certo, le elezioni non sono alle viste, ma questo rischia di essere un pericolo in più per un premier che si sente insostituibile, forte dei sondaggi che lo indicano addirittura come il miglior capo di governo di tutta la seconda repubblica.

 

Un’incoronazione che rischia di trasformarsi in un necrologio politico per un parvenu che ha dimostrato indubbiamente di essere un abile navigatore, ma che ora, come tutte le volpi, rischia di finire in pellicceria. Anche se, da marionetta dipinta ai tempi del governo gialloverde come il vice di Salvini e Di Maio, è riuscito a compiere un indubbio salto di qualità, diventando in Europa il vice di Merkel e Macron, ai quali si è affidato per lucrare poi in patria i meriti di chi ha deciso di aprire un paracadute perché portare l’Italia al fallimento non conveniva a nessuno. Ma se da contributori netti siamo diventati beneficiari netti del bilancio europeo, significa che il nostro ingresso tra i poveri d’Europa è stato ufficialmente sancito, e per un Paese fondatore non è certo un titolo di merito.

 

Ora i nodi arriveranno uno ad uno al pettine, e saranno guai. Non a caso il prolungamento dello stato d’emergenza fortemente voluto da Conte sta creando molti maldipancia nella maggioranza, e il Pd sta contrastando sul nascere il tentativo di gestire in proprio a Palazzo Chigi i fondi europei. Di Maio scalpita perché non vuol cedergli il timone dei Cinque Stelle, gli elogi di Renzi non promettono nulla di buono, al Senato i numeri sono ballerini e l’operazione Responsabili è frenata dalla consapevolezza che, Conte o non Conte, non si andrà comunque a votare. La sua rischia di essere, insomma, una resistibile ascesa, anche in vista della corsa per il Quirinale, un approdo che l’avvocato del popolo considera ormai quasi naturale ma che sta mettendo in allarme gli altri aspiranti al Colle, che pullulano soprattutto nel Pd. Per cui quando arriverà, tra due mesi, lo tsunami economico, la tentazione di addebitarlo interamente al premier prenderà inevitabilmente corpo. E ogni scenario alternativo diventerà plausibile.

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