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Maurizio Costanzo: sullo stesso divano arte e turpiloquio, filosofi e pornostar

Pietro De Leo
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È stato la galleria del sublime e del brutto insieme. Lo scuotimento della coscienza e il galleggiamento sul futile. Una pozione in ogni modo meravigliosa cosparsa da un palco in cui si sono avvicendati Carmelo Bene e il Divino Otelma, Silvio Berlusconi e Cicciolina. In un’Italia ancora parametrata sull’«homo videns» (espressione di Giovanni Sartori ad indicare il tipo umano che si abbeverava alla televisione) da lì, dal «Maurizio Costanzo Show», partivano i prodromi del viralismo delle espressioni che, anni dopo, avremmo ritrovato nei social. «Consigli per gli acquisti», «State boni», locuzioni con cui il padrone di casa scandiva tempi e gestiva gli ospiti. E quella «e lei è una stronza», lanciato da Vittorio Sgarbi all’indirizzo di una poco virtuosa poetessa.

 

Che segnò, in un frammento di secondo, il venir giù del muro della morigeratezza televisiva. La fusione tra l’al di là e l’al di qua dello schermo. Se noi dividessimo il tempo catodico in tanti «prima e dopo», il «Maurizio Costanzo Show», nei suoi quasi quarant’anni, segna decine di spartiacque. C’è il prima e dopo rispetto alla rasoiata sgarbiana. Così come c’è un prima e dopo intorno a quella puntata in staffetta con «Samarcanda» di Michele Santoro nella quale, ospite al Teatro Parioli, c’era Giovanni Falcone. Così come c’è un prima e un dopo rispetto alla bomba di via Fauro, nel maggio 1993, dove Costanzo e Maria De Filippi, che passavano in auto, si salvarono per un miracolo e pochi secondi. Era diretto al giornalista, quell’esplosivo, sia come persona fisica sia come simbolo anche antimafia ben incastonato nell’immaginario collettivo, e non a caso la bomba fu piazzata a pochi passi dal suo «tempio» dove tutto questo era nato e divenuto rigoglioso e dove, si seppe poi, tra il pubblico si sedette una sera anche Matteo Messina Denaro.

 

Tra quel palco e le poltrone si è dunque andata ritrovando la coscienza collettiva italiana per così com’è, nella sua dimensione sociale e politica. La convivenza negli anni ’80 tra il senso di una politica ancora ancorata al primato delle culture e un mondo dello spettacolo che osava, sperimentava e trasgrediva. L’incertezza collettiva dei primi anni ’90 della grande frana e poi l’irruzione del berlusconismo che assorbiva tutto, consenso e spettacolo. Sino ai 2000, con il paradigma Pietro Taricone, i nuovi divi sbucati dalla porta accanto, gonfiati in quella formula reality di cui Costanzo fu iniziale mentore. Un continuo fondersi tra alto e basso, che rispecchiava, e in parte anche plasmava, la società italiana. Arte e turpiloquio, filosofi ed esperti enciclopedici di pornografia, statisti e fenomeni da baraccone, questi ultimi buttati alla mercé di virtuali lanciatori di noccioline ma comunque beneficiati dal sogno warholiano del quarto d’ora di celebrità fine a se stessa, che in molti casi è diventato ore, mesi, anni.

 

E lui, Maurizio Costanzo, miscelatore sapiente del tutto, trovando gran parte delle volte l’equilibrio ma com’è logico mancandolo. In ogni caso scrivendo una pagina di storia di televisione. Che nel ribollire di miriadi di episodi passeggeri, ha isolato quelle costanti in grado di permeare la memoria di un paio di generazioni. Il sipario rosso, il candido frac di Franco Bracardi. E quella musica al pianoforte, «Se penso a te», che ha accompagnato migliaia di notti in anni più belli di questi

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