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Elezioni 2022, dissero no al taglio dei parlamentari e hanno vinto: quasi tutti sicuri della rielezione

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Ride bene chi ride ultimo. Possono dirlo con orgoglio Bruno Tabacci, Vittorio Sgarbi, Riccardo Magi e Maurizio Lupi. Cosa hanno in comune? Sono quattro dei sedici deputati che non votarono la riforma costituzionale che prevedeva la riduzione dei parlamentari. E che ora, di fronte a un esercito di peones che non trovano posto in lista e si mangiano le mani per il clamoroso autogol, possono sorridere beffardamente. Loro, che avevano avvertito per tempo dei rischi di un simile taglio draconiano, non solo nelle liste elettorali ci saranno. Ma, al 99%, saranno tutti rieletti (gli scongiuri sono ammessi).

 

Che giorni, quelli dell'ottobre 2019. Era da poco nato il Conte Bis e Zingaretti, per dimostrare ai neo alleati del Movimento 5 Stelle che il Pd non era più «casta», compì la giravolta. I Dem, che nei primi tre passaggi parlamentari si erano opposti al taglio, all'ultimo voto disserò sì. Non mancò il dibattito al Nazareno. In tanti uno su tutti, l'ex tesoriere Zanda - erano perplessi di fronte a una riforma che, senza i necessari correttivi (modifica delle maggioranze necessarie all'elezione del presidente della Repubblica, cambio del sistema di elezione del Senato, ritorno al proporzionale) avrebbe compressogli spazi delle opposizioni e alterato il delicato equilibrio immaginato dai padri costituenti. Ma ci sono delle fasi della Storia in cui se solo si avanzano dei dubbi si passa per «poltronisti», «antichi», «difensori dei privilegi». E così si adeguarono tutti. O quasi. Perché sedici parlamentari si smarcarono da quel voto altrimenti unanime. «Il taglio dei parlamentari è uno stupro al Parlamento» tuonò Vittorio Sgarbi in Aula. «È come tagliarsi un braccio per dimagrire» argomentò Bruno Tabacci.

 

«Pura demagogia» accusò Maurizio Lupi, rivelandosi poi facile profeta: «Cosa succede se il governo cade e la maggioranza non sarà poi in grado di varare tutti quei correttivi senza i quali la riforma rimarrà appesa a se stessa e produrrà grossi guai?». «Una scelta demenziale» chiosò Riccardo Magi. Quattro storie parlamentari diverse, eppure unite nel dire: «Non fatelo». Invece si fece. E oggi i quattro dissidenti potrebbero rivendicare con orgoglio: «Ve l'avevamo detto».

 

In fondo, la ricandidatura con annessa quasi certa rielezione dimostra che quella battaglia non era certo combattuta «pro domo propria». Tutti e quattro potevano immaginare, già tre anni fa, che il Parlamento sarebbe comunque restato nel loro futuro. Perché avevano un ruolo importante nei partiti di cui fanno parte e di conseguenza avrebbero avuto una candidatura blindata, come Lupi e Magi. O perché, avendo attraversato varie epoche politiche e varie legislature, avevano già in mente le mosse giuste per sopravvivere nonostante i numeri ridotti.

 

Bruno Tabacci, dalla sua, ha un simbolo, quello del «Centro democratico», che gli ha permesso di fare da «caronte» a tutti i leaderini incapaci di raccogliere le firme per il proprio, vedasi Di Maio. E Vittorio Sgarbi è un situazionista di assoluto talento. Solo qualche mese fa era diventato il mediatore telefonico della candidatura al Quirinale di Silvio Berlusconi. Sarà incostante, inaffidabile, un cane sciolto. Ma della sua ecletticità il centrodestra non vuole fare a meno. E infatti avrà un collegio blindato in quota Noi con l'Italia.

E gli altri? Meno fortunati. Marzia Ferraioli di Forza Italia è rimasta l'unica azzurra salernitana a non seguire Mara Carfagna in Azione, ma è tutt' altro che certa della ricandidatura. Gli ex grillini Silvia Benedetti, Sara Cunial e Catello Vitiello hanno zero chance. Alessandro Fusacchia ha aderito al poco fortunato progetto ecologico dell'ex ministro Lorenzo Fioramonti. Gloria Vizzini si è giocata la ricandidatura con i Cinquestelle proprio con quel no al taglio. Renzo Tondo e Alessandro Colucci di Noi con l'Italia per rientrare dovranno sperare in risultati più alti del previsto per la propria lista. La forzista Veronica Giannone (ex M5S) difficilmente avrà un posto sicuro. Carmelo Lo Monte potrebbe provarci con la lista Sud chiama Nord di Cateno De Luca, sempre che riescano a raccogliere le firme. Fausto Guillerme spera di riprovarci nella circosrizione America Latina col Pd, ma i sondaggi sono quelli che sono. Idem per Angela Schirò, eletta sempre col Pd nella circoscrizione Europa.

 

Poi ci sono tutti gli altri, quelli che hanno votato sì, con più o meno entusiasmo. E in particolare i superstiti del Movimento 5 stelle. Nel 2018 entrarono in Parlamento in massa: oltre 330 eletti. Oggi, tra taglio dei parlamentari, tetto al doppio mandato, sondaggi disastrosi e inserimento dei fedelissimi contiani nei posti sicuri, a sperare di sopravvivere saranno al massimo due decine. Dovevano cancellare la Casta. Hanno cominciato da loro stessi. Quando si dice la coerenza.

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