Cerca
Cerca
Edicola digitale
+

Pd scoppiato: "Il partito non regge", aria di congresso per il benservito a Schlein

  • a
  • a
  • a

Il Pd si spacca a metà sulla difesa europea e prende forza la fronda che vuole togliere dal timone del partito Elly Schlein. Il voto di Bruxelles si conferma insidioso per la segretaria dem che vede i suoi tornare a spaccarsi, questa volta sul Libro bianco per la difesa, contenente il piano ReArm Europe presentato da Ursula von der Leyen. Sono dieci i deputati del Partito democratico che hanno votato sì alla risoluzione del Parlamento: Bonaccini, De Caro, Gualmini, Gori, Lupo, Maran, Moretti, Picierno, Topo, Tinagli. Undici i componenti della delegazione Dem che hanno optato per l’astensione: Annunziata, Benifei, Corrado, Laureti, Nardella, Ricci, Ruotolo, Strada, Tarquinio, Zan, Zingaretti. Orientamenti diversi che ricalcano il diverso approccio nei confronti del Nazareno. I primi, provenienti dalla minoranza riformista. I secondi della maggioranza interna al Pd.

 

La segretaria, però, conferma la linea di netta contrarietà al piano Von der Leyen: «All’Europa serve la difesa comune, non la corsa al riarmo dei singoli Stati. È e resta questa la posizione del Pd», sottolinea la leader dem spiegando che nella risoluzione sulla difesa comune ci sono «molti punti che condividiamo, ma la risoluzione dava anche appoggio al piano RearmEU proposto da Ursula Von der Leyen cui abbiamo avanzato e confermiamo molte critiche proprio perché agevola il riarmo dei singoli Stati facendo debito nazionale, ma non contribuisce alla difesa comune e anzi rischia di ritardarla. Quel piano va cambiato». 

In ogni caso, la spaccatura di oggi conferma, se anche ce ne fosse bisogno, il momento di fibrillazione attraversato dal partito e che è esploso proprio in concomitanza con la presentazione del piano Von der Leyen. «Su questi temi il partito non regge», è il refrain che circola fra i riformisti Pd. Quasi un avvertimento alla segretaria che ha sentito risuonare negli ultimi giorni anche la parola «congresso». A pronunciarla per primo è stato uno dei padri fondatori del partito, Luigi Zanda, che a fronte delle distanze che si avvertono nel partito sulla linea da prendere per fare fronte alla «straordinarietà di questo passaggio storico» c’è bisogno di un congresso straordinario. Parola, «congresso», entrata ormai di prepotenza nel dibattito interno ai dem, anche se in pochi credono nella percorribilità di questa strada.

 

Contraria la sinistra dem vicina alla segretaria: «Non si può chiedere un congresso ogni volta che non si concorda con le scelte della segreteria, peraltro votate da una direzione», spiega Andrea Orlando suggerendo un «congresso per temi», quindi senza dare luogo a una conta sugli organigrammi, «per chiarirsi le idee». Tra i massimi vertici del Pd, poi, c’è anche chi si sentirebbe di sfidare la minoranza su questo terreno, convinto di una vittoria schiacciante di Schlein contro un ceto dirigente di lungo corso.

«Congresso o non congresso dobbiamo mostrarci all’altezza di un momento di grande cambiamento» perché «un Partito che si dice democratico non può astenersi da questo», dice Lia Quartapelle, fra i parlamentari che hanno sostenuto in questi giorni la linea Gentiloni del «passo avanti», ovvero del fatto che il piano ReArm Eu rappresenti, pur con tutti i suoi limiti, un avanzamento in direzione della difesa comune europea. Il Pd, insomma, «deve dire dove sta, con chi sta e perché, argomentare e stare in dialogo con l’opinione pubblica, svolgere una funzione di leadership», aggiunge Quartapelle. Esattamente quando non è avvenuto prima del voto di oggi: «La discussione a Bruxelles non c’è stata, siamo arrivati al momento del voto senza un confronto con la segretaria e il responsabile Esteri. Il voto di oggi dimostra che non si può arrivare senza una discussione vera. Si partiva dal no, per fortuna la linea del no è andata sotto». 

Dai blog