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Psicodramma Pd: Letta lascia, ma non subito. Per il futuro derby Bonaccini-Schlein

Dario Martini
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Nessuna autocritica su come è stata condotta la campagna elettorale. Per Enrico Letta, se vanno individuati i colpevoli, bisogna cercarli negli altri partiti. Rispondono ai nomi di Giuseppe Conte, «che ha fatto cadere Draghi», e di Carlo Calenda, che con il suo «fuoco amico» ha fatto mancare voti decisivi. L'analisi sulle cause della sconfitta arriva dopo una notte tesissima in cui il leader dem ha preferito tenersi lontano da microfoni e telecamere. Indeciso se cedere a chi gli chiedeva dimissioni immediate o a chi lo esortava a non mollare. La decisione, in realtà, l'aveva già maturata nei giorni scorsi, quando aveva messo nel conto di finire sotto al 20%. Farà il "traghettatore" del partito fino a che non sarà individuato il suo successore. «Assicurerò la guida del Pd, per spirito di servizio, in vista del prossimo congresso - spiega durante la conferenza stampa Nazareno - Io non mi presenterò candidato, credo che il compito di rilanciare il partito spetti a una nuova generazione. La mia leadership finirà quando il congresso ne avrà individuata un'altra». In realtà, non è mancato il pressing arrivato dalle correnti che fanno capo a Dario Franceschini e a Peppe Provenzano affinché Letta lasciasse subito il timone a uno fra Vincenzo Amendola e Andrea Martella. Secondo la lettura che arriva da Base Riformista, l'area che guarda a Lorenzo Guerini, prima Letta vuole «sistemare i gruppi parlamentari con persone a lui molto vicine in qualità di capigruppo». Il segretario traghettatore riconosce la sconfitta, ma va fiero del fatto che il Pd sia «la prima forza d'opposizione in Parlamento». Le cause della disfatta - spiega- sono due. Il primo «limite profondo è stato il fatto che negli ultimi dieci anni siamo sempre stati al governo». Poi, punta il dito contro i leader delle altre forze politiche: «Conte ha fatto cadere il. governo Draghi. È da lì che è cominciato tutto». Mentre da Azione è arrivato un «fuoco amico», come dimostra «la candidatura di Carlo Calenda nel collegio di Emma Bonino, che ha finito per aiutare l'elezione della candidata di destra». Una ricostruzione che a molti esponenti dem non piace. Dire che «abbiamo perso perché la linea di questi anni era giusta non mi pare un'analisi molto convincente e rispettosa», scrive Matteo Orfini su Twitter.

 

 

Mentre Alessia Morani parla di una linea politica confusa tra "o Conte o morte" ed "evviva Draghi", un'alleanza debolissima e contraddittoria e una campagna elettorale senza messaggi forti e priorità comprensibili». Interviene anche il governatore del Lazio e neo deputato Nicola Zingaretti: «Il problema non era il campo largo. Ma non averlo avuto. Divisi si perde tutti. Deve riflettere chi per tre anni non ha fatto altro che picconare in maniera ossessiva e miope questa idea». L'emblema della sconfitta è la vittoria del centrodestra nella roccaforte radical chic di Capalbio, dove Fabrizio Rossi, già coordinatore regionale di FdI, ha preso il 52,67%, mentre l'ex governatore della Toscana, Enrico Rossi, si è fermato al 25,13. Intanto, le correnti del partito affilano le armi per la corsa a segretario.

 

 

In pole c'è Stefano Bonaccini, governatore dell'Emilia Romagna e candidato segretario in pectore di Base Riformista: «L'affermazione della destra è chiara. Complimenti a Meloni», twitta in mattinata. Parole che suonano subito come uno "schiaffo" all'attuale dirigenza. A chi lo interroga sul suo futuro, lui risponde: «Non chiedetemi cosa farò, il Congresso deve essere un'occasione per la rigenerazione del Pd». In ticket con Bonaccini potrebbe presentarsi un altro amministratore locale: il sindaco di Firenze Dario Nardella. Contro di loro potrebbe scendere in campo Elly Schlein, già ribattezza l'«Alexandria Ocasio Cortez italiana», paladina dei diritti e astro nascente della sinistra più intransigente. Viene da Bologna, è vicepresidente dell'Emilia Romagna, e piace al M5S con cui non ha mai nascosto di voler ricucire. In molti guardano con attenzione alle scelte che faranno big come Andrea Orlando o il vicesegretario Provenzano. La discesa in campo di quest'ultimo veniva data per scontata fino a poco tempo fa. Ora, invece, pare che il diretto interessato nutra più di un dubbio. Tra chi valuta la candidatura c'è anche il sindaco di Pesaro Matteo Ricci, coordinatore dei primi cittadini dem. Da non escludere pure il nome di Debora Serracchiani, che ritiene il Congresso «un passaggio fondamentale», ma avverte: «È prematuro parlarne ora».

 

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