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Sul salario minimo dell'Unione europea i partiti si spaccano: caos sulla direttiva

Camillo Barone
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Non basta l'accordo raggiunto in Europa sul salario minimo per sbrogliare la matassa italiana, con i partiti che accolgono il pronunciamento della Ue con toni e soluzioni diverse. L'intesa tra il Parlamento europeo e gli Stati membri dell'Ue sulla direttiva che dovrà portare il salario minimo adeguato è arrivata nella notte di ieri. Come per ogni direttiva europea ci sarà ampio margine di libertà per ciascuno Stato membro su come arrivare all'obiettivo, ed è chiaro già ad osservare le prime dichiarazioni arrivate ieri da tutti i partiti politici che in Italia si respirerà un gran caos sul tema del lavoro dignitoso per i prossimi anni.

 

 

Nel dettaglio, quanto stabilito dal Parlamento di Strasburgo non obbligherà i legislatori a implementare il salario minimo così come è istituito in Spagna (1.100 euro mensili), in Francia o in Germania (1.600 euro circa), ma promuoverà piuttosto lo strumento della contrattazione collettiva per ogni categoria, purché questo sistema copra il lavoro dell'80% degli assunti in ciascuno Stato. A Roma, tuttavia, la decisione europea è caduta in piena campagna elettorale. Dentro i singoli partiti e nella vasta coalizione che appoggia il premier Mario Draghi, infatti, è partita la corsa a fare del tema salariale una bandiera propagandistica. Il che rischia, almeno per il momento, di azzerare le possibilità di trovare un accordo sulla questione. I primi a festeggiare sono i parlamentari del Pd, a cominciare dal segretario Enrico Letta: «Per noi vuol dire applicare veramente l'articolo 1 della Costituzione. Tre euro l'ora non può essere considerato lavoro dignitoso». Segue il commissario Ue all'Economia Gentiloni: «Un grande passo in avanti». Poi però specifica prudente: «Non è un obbligo, ma un'occasione». Brinda anche il Movimento 5 Stelle, pur restando vago sul futuro della misura. La vicepresidente del Senato Paola Taverna dice che «finalmente sarà data dignità al lavoro anche in Italia». Il ministro degli Esteri Di Maio è più frizzante: «Il Movimento sosteneva il salario minimo da tempo, adesso cerchiamo la convergenza delle altre forze politiche». Parole tutto sommato pacate per chi in passato si era vantato senza mezze misure di avere «abolito» la povertà col reddito di cittadinanza.

 

 

Nella Lega si registra la cautela diplomatica del ministro dello Sviluppo economico Giorgetti: «In alcuni settori probabilmente serve, in molti altri invece credo l'attuale contrattazione garantisca già degli stipendi superiori a quelli del salario minimo». Più diretto e di poche parole è invece il segretario Salvini: «L'importante è abbassare le tasse». Anche Giorgia Meloni cerca di mantenersi in equilibrio: «La questione va affrontata ma in un quadro più ampio e complesso perché altrimenti si rischia di far finta di risolvere un problema che in realtà impatta in misura minima». Da Forza Italia invece si alzano le barricate contro il commissario europeo al Lavoro Schmit. Antonio Tajani lo invita a «fare un altro mestiere» e attacca: «Respingo l'interferenza» di chi «vuole a tutti i costi il salario minimo in Italia così come vogliono il Pd e il Movimento 5 Stelle», che però al di là dei programmi sono ancora lontani dal trovare un accordo sulla misura. Nel frattempo, tra gli slogan, nessuno sembra essersi accorto del dato più allarmante: negli ultimi trent'anni in Italia gli stipendi sono diminuiti del 3%, contro la crescita di oltre il 30% di Francia e Germania. Sarà che forse le priorità della politica sono altre.

 

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