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Tutti contro tutti e vince Mario Draghi. Le spaccature nelle coalizioni fanno il gioco dei «proporzionalisti»

Carlo Solimene
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Bisognerà aspettare il 27 giugno, quando saranno evidenti i vincitori e gli sconfitti di questa tornata amministrative, per capire il destino della legge elettorale per le Politiche. Quella attuale, il tanto contestato Rosatellum, si basa sull'esistenza di coalizioni che, in realtà, al momento mostrano più di una fragilità. Così, se l'esito del voto dovesse acuire le distanze tra il Pd e i Cinquestelle da una parte e tra la Lega e Fratelli d'Italia dall'altra, inevitabilmente tornerebbe alla carica il partito dei «proporzionalisti». Convinti che in un contesto così sfilacciato, l'unica legge capace di fotografare bene la situazione politica sia quella tanto cara alla Prima Repubblica. Tanto più che il taglio dei parlamentari, calato in un contesto maggioritario, crea anche dei problemi di rappresentanza al Senato, specie per quanto riguarda le regioni più piccole. Teoricamente il proporzionale avrebbe già oggi i numeri sufficienti in Parlamento per soppiantare il Rosatellum. Sarebbero a favore il Pd, il M5s e i centristi, da Renzi a Calenda fino a Toti. Ma cambiare le regole del gioco con una forzatura, tenendo fuori il centrodestra - compreso quello che sostiene il governo Draghi - significherebbe di fatto scrivere la parola fine alla maggioranza di unità nazionale. Con tutti i rischi che questo comporterebbe sulla realizzazione delle riforme cui sono legati i fondi europei del Pnrr.

 

Proprio per questo sarà determinante l'esito del voto. Portare dalla parte dei proporzionalisti anche Lega e Forza Italia, o quantomeno una parte significativa di questi due partiti, permetterebbe di modificare la legge in tempi rapidissimi. E farebbe la gioia, soprattutto, di chi si augura che dalle urne 2023 esca un quadro così frammentato dal rendere imprescindibile il formarsi di nuove larghe intesa e, magari, la permanenza di Mario Draghi a Palazzo Chigi. Certe tensioni che attraversano ormai costantemente centrodestra e centrosinistra sembrano rendere plausibile questo scenario. A meno che, appunto, il voto non restituisca un quadro assai più chiaro e definito. D'altronde gli italiani, dopo trent'anni di bipolarismo, fanno fatica a rinunciarvi. E a dimostrarlo sono stati tanti voti locali in cui centrodestra e centrosinistra si sono ricompattati e rinforzati. Sarà così anche stavolta?

 

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