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Il "menefrego" di Draghi. Sull'obbligo vaccinale ha scelto il silenzio

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Se fosse un film western si intitolerebbe «I quattro dell'Ave Maria». Solo che ne mancava uno. Il protagonista. Sorprende, o forse no, che Mario Draghi abbia scelto di non presentarsi agli italiani per spiegare l’ennesima babele di norme uscite dall’ultima cabina di regia. Nessuna conferenza stampa: Draghi questa volta non ci mette la faccia, fa parlare solo i ministri. 

 

L’Italia è in tilt, quel modello decantato dall’Economist e riportato come esempio mondiale si sta sgretolando sotto la variante Omicron: è il punto di caduta. Almeno troviamo l’onestà intellettuale di dire che il governo non ha tutto sotto controllo. E chi avrebbe dovuto comunicarcelo se non il premier Draghi? Colui che invece ha preferito la strada del silenzio in un momento dove erano richieste, doverose, voce, chiarezza e presenza.

 

La stampa che il 22 Dicembre, durante la Conferenza di Fine Anno, aveva applaudito il premier, ieri si è dovuta accontentare dei tre Magi, Brunetta, Speranza e Gelmini, per riferire le decisioni prese durante il contrastato Cdm. Sembrano lontanissimi i tempi in cui quella stessa informazione bacchettava il presenzialismo di Conte, ritenuto più un gesto di vanità che necessità. Almeno due volte al mese, l’ex premier ci metteva la faccia, assumendosi la responsabilità di ogni scelta e decisione mentre Draghi oggi la faccia la nasconde. Si può essere o meno d'accordo con il green pass obbligatorio per tutti i lavoratori, ma il Presidente del Consiglio, con il placet di tutti i ministri del suo governo, si è assunto questa responsabilità. Nella sua veste di «non politico», può permettersi di prendere qualsiasi decisione senza guardare al consenso elettorale. Draghi è un outsider in campo.

 

Utilizzando una metafora calcistica passa da essere l’allenatore, attaccante, difensore, centrocampista, per poi utilizzare il fischietto e diventare arbitro, con l’assoluta presunzione ed autorevolezza di non far toccare palla a nessuno, se non qualche calcetto a turno per giustificarne la presenza sul terreno di gioco. Sembra di tornare indietro di un decennio, quando nel 2012, con un Italia sotto attacco della speculazione internazionale, ci ritrovammo Mario Monti al governo, un altro tecnico, che fra il pianto della sua ministra Elsa Fornero cercò di farci digerire la riforma delle pensioni e il pareggio in bilancio. Indelebile la manovra definita «lacrime e sangue». Draghi è stato invece chiamato per traghettarci fuori, con le buone o le cattive, dalla pandemia e gestire i 209 miliardi del Pnrr portati portati in dote dall’avvocato del popolo prestato alla politica. Quella varata ieri, ovvero la misura severa e condizionante,che ha imposto il green pass alle decine di milioni di lavoratori pubblici, privati e autonomi del Paese, esigeva il metterci la faccia.

 

L’essere un tecnocrate, quale Draghi, non lo esime dal dover spiegare agli italiani il perché dal 15 Febbraio, chi avrà superato la soglia dei 50 anni, se privo del lasciapassare verde, non solo non potrà recarsi sul luogo di lavoro, ma resterà senza stipendio. Le generazioni di mezz’età, avranno un mese di tempo per decidere se garantire un pasto in tavola alla famiglia, concedendosi qualche mese sabbatico escluso dalla socialità, oppure recarsi all’hub vaccinale e mettersi in regola con la legge. Perché nascondersi, perché non affrontare a viso aperto quei milioni di lavoratori e fornire loro le doverose spiegazioni riguardo al fatto che viene imposto un obbligo senza inserire una chiara manleva sulle responsabilità che lo Stato non si assumerà in caso di effetti avversi al vaccino? Perché non spiegare come mai se siamo in guerra, le misure adottate scatteranno fra un mese, ovvero dal 15 Febbraio? Magari un giornalista attento avrebbe potuto rivolgergli queste domande che ad oggi rimangono sospese in un interrogativo che non trova risposta. Tra il troppo e il nulla c’è quella sottile via di mezzo che si chiama rispetto, un riguardo che troppo spesso chi ci governa dimentica.

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