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Salvini si è stufato e ora Draghi rischia grosso. Il retroscena sul cdm: sono stati i ministri a ribellarsi

Francesco Storace
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È evidente che a Mario Draghi non gliela raccontano giusta. Abituato a leggere la politica con la protezione del Colle, il presidente del Consiglio farebbe bene a dotarsi di qualche consigliere più avvezzo ai rapporti politici. Nei corridoi di Montecitorio ieri si sono avvistate giovani leve di Palazzo Chigi a chiedere in giro se andava tutto bene. Ha destato sorpresa la reazione di Matteo Salvini al decreto fiscale, con la decisione dei ministri leghisti di non presentarsi ad approvarlo. E hanno anche letto e riletto la dichiarazione del capogruppo leghista Riccardo Molinari, che ha mandato a dire alla delegazione governativa «che nel partito nessuno è nella condizione di processare Salvini». Il che equivale a dire che chi volesse provarci non conti sui gruppi parlamentari.

 

Ed è quel che Draghi non ha ancora capito, il tema è il rispetto di un partito orgoglioso come la Lega. Che avverte anche un pizzico di ingratitudine da parte del premier verso una forza politica che si è spesa anche oltre il consentito per sostenere un governo nel quale si fatica anche a discutere. Ieri Salvini ha squadernato una gaffe niente male del capo del governo. Per approvare la delega fiscale alle 14, Draghi ha convocato la cabina di regia alle 13,30 mandando mezz’ora prima ai suoi componenti la bozza di un provvedimento che rischia di mandare a gambe all’aria il patrimonio degli italiani rappresentato dalla casa. A scatola chiusa, ha spiegato pubblicamente Salvini ad un premier che ogni giorno pretende l’unanimità, non si approva più nulla. I voti si conquistano con la discussione leale, non con i blitz che al massimo possono servire ad acquisire la genuflessione altrui.

 

Ora, c’è da attendersi da Salvini comportamenti coerenti con l’altolà pronunciato ieri. E prima ancora si butterà a capofitto nei ballottaggi – ha sentito Giorgia Meloni – per vincere anche nelle grandi città, visto che nei centri piccoli e medio grandi, come alla regione Calabria, non è andata affatto male. Torino e Roma sono alla portata del centrodestra e la Lega si impegnerà al massimo per trascinare alla vittoria sia Damilano che Michetti. Poi, Salvini proporrà alla Lega una seria analisi del voto e della situazione. Nel frattempo chiederà uno stop alle dichiarazioni in libertà, ai casini, alle lamentele. Serrare i ranghi è la parola d’ordine. E non sono vere le voci che da ambienti di Palazzo Chigi si facevano circolare sulla decisione di non andare al consiglio dei ministri. Il che non è mai un bene: veicolare notizie fasulle complica la situazione e la vita dell’esecutivo. A quanto si è appreso, sono proprio i ministri – Giorgetti compreso – ad essere scocciati di ricevere atti di indubbia importanza senza alcuna discussione preventiva.

 

Di qui, appare evidente che chi dalla maggioranza briga per dividere la Lega tornerà con le pive nel sacco. Non c’è nessuno all’interno che abbia la forza per chiedere la testa di Salvini, magari per un ritorno ad una linea politica più radicata al Nord: sarebbe l’omaggio definitivo a chi vorrebbe tornare a contestare il partito al grido di secessione. La linea di dimensione nazionale della Lega è un punto di non ritorno, dice Salvini. Ovviamente, il segretario federale vuole verificare i dati elettorali, soprattutto dove i risultati non sono stati all’altezza delle aspettative: brucia quel 5,9 per cento nella Capitale, anche se non ci sono percentuali molto più alte neppure nelle altre grandi città. Probabilmente, nei territori dove si vota anche nel nome dell’opinione rispetto ai fatti politici, il consenso deriva anche dal rapporto della Lega col governo. E quei voti torneranno se si comincia a mettere i punti giusti su argomenti che stanno per affollare l’agenda politica. C’è da rabbrividire ad immaginare che può succedere se il presidente del Consiglio penserà davvero di poter continuare a fare da solo.

Tornerà la discussione sul Mes, ad esempio. E poi la riforma delle pensioni e quota 100. La tutela nazionale rispetto alla Bolkestein. Il dossier Alitalia e la questione Green pass legata ai luoghi di lavoro, lo stralcio e la rottamazione delle cartelle esattoriali. Per non parlare dell’immigrazione. La sensazione è che da ora in poi andrà ridiscusso tutto. Anche perché Salvini è stufo di portare acqua all’esecutivo senza ricavare benefici per le proposte su cui chiede impegni precisi. E Draghi dovrà farlo: anche perché sta per arrivare la legge di bilancio. Il premier si doti di migliori consiglieri politici. Andare a sbattere dopo per non aver voluto discutere prima, significa giocarsi male la reputazione. Anche per quello che vorrebbe fare da grande.

 

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