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Governo Draghi, riparte la caccia alle poltrone. In ballo 36 cariche: ecco il manuale della spartizione

Francesco Storace
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Quanto potrà durare il pugno di ferro di Mario Draghi contro i partiti che lo devono sostenere in Parlamento non lo può sapere nessuno. Ma certo è che pare un po’ curioso che sugli assetti dell’esecutivo si possa pensare di decidere quasi di nascosto. Tanto più che ora proprio i partiti dovranno rimettere a posto i cocci  e aprire la seconda contesa, quella che riguarderà adesso la bellezza di 37 poltrone tra viceministri e sottosegretari. Oppure 36 considerando il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, già deciso da Draghi. La caccia è aperta, poltrona mia fammi accomodare.

 

Anzitutto ci sarà da vedere che cosa intende fare il premier delle deleghe che sembrano scomparse: gli affari europei, lo sport, le riforme. Erano ministeri guidati proprio da ministri, probabilmente toccherà a sottosegretari presso la presidenza del Consiglio. Poi, i numeri, i criteri, la ripartizione. I magnifici 36 restanti – essendo 23 i ministri, il numero totale non può superare per legge i 60, a meno di un decreto legge che ne modifichi la quantità – dovranno essere assegnati col bilancino. È difficile pensare a tecnici come viceministri in queste condizioni. E a meno che Draghi non voglia dettare legge anche sulla seconda fila, bisognerà stabilire quanti ne toccheranno ad ogni forza politica. Sapendo già che bisogna dare ampio spazio alla presenza femminile sacrificata (soprattutto dalla sinistra). 

 

Altro criterio che potrebbe prevalere quello della cosiddetta marcatura. Dove c’è un ministro di sinistra un vice di destra e idem nel caso opposto. Difficile pensare ad una filiera dello stesso partito politico. Un ragionamento dovrà vertere sulle aree geografiche. Largo spazio nei ministri ha avuto il nord, è prevedibile una «pesca» nella rappresentanza politica centromeridionale. Ancora: fare attenzione ai numeri complessivi di deputati e senatori. I gruppi parlamentari sono preziosi. Ma come si muoveranno le singole forze politiche? Se ci sono da distribuire 36 caselle, probabilmente potrebbero andarne 18 verso Lega e Forza Italia e altrettante in direzione delle forze della vecchia maggioranza di Giuseppe Conte, con l’attribuzione dei «pesi» diversi al loro interno.

Matteo Salvini ancora non scopre le carte, anche se ad esempio ha già fatto sapere di puntare sicuramente su almeno due ministeri simbolici: Interno e Salute, perché non vuole lasciare a Luciana Lamorgese e Roberto Speranza la titolarità delle decisioni. E poi il resto. In casa azzurra, pare che ci sia un punto fermo. Forza Italia vuole sicuramente una responsabilità di governo nella Giustizia: in quel ministero potrebbe arrivare Paolo Sisto, deputato pugliese e affermato giurista. Poi, visto che i ministri di Fi – Renato Brunetta, Mara Carfagna e Maria Stella Gelmini – sono deputati, i sottosegretari dovrebbero essere scelti nel gruppo di Palazzo Madama. Alla Camera del resto sono in distribuzione la guida del gruppo, dove c’era la Gelmini, e la vicepresidenza dell’assemblea, dove era stata eletta la Carfagna. Una bussola certa pare orientare le mosse di Nicola Zingaretti: il Pd ha la grana delle donne rimaste escluse dai ministeri e il segretario non vuole deluderle. Del resto, anche la sua giunta regionale nel Lazio ne vede molte protagoniste.

 

 Per i grillini non c’è traccia di criteri possibili, visto il caos che si registra per la nascita del governo. Dovranno anzitutto sistemare molti trombati del governo precedente. E non ne vogliono perdere altri. La quota di spettanza vede ai primi posti Riccardo Fraccaro, Stefano Buffagni, Laura Castelli e Pierpaolo Sileri. Ma lo scontro sarà aspro. Poi, poche speranze per Leu e Italia Viva, relegate a mettere la firma sulle decisioni altrui.

 

Il quadro potrebbe complicarsi se Draghi pretendesse di metterci le mani. Ancora non si capisce se ci siano nomi tecnici in circolazione, ieri ad esempio si parlava, per il ministero della Transizione Ecologica, di Guido Bortoni, ex presidente Arera, che sarebbe destinato a un ruolo tecnico di vertice. Ma se sarà vero, dipenderà solo dal premier: per adesso i partiti si chiedono se gli appetiti dell’inquilino numero uno di Palazzo Chigi si siano placati o no.
 

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