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Giocate pure, vince la 'ndrangheta

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Indagine del Ros Le mani della cosca Molè sulla Capitale e la sua provincia Le macchinette mangiasoldi per fare soldi in fretta e acquistare droga e armi LEGGI ANCHE Una piccola Las Vegas all'ombra del Cupolone

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Da Tivoli a Fiumicino passando per i Castelli e i quartieri a sud est della Capitale: erano più di una ventina i locali che, consenzienti o costretti, ospitavano «macchinette mangiasoldi» gestite in nome e per conto della cosca dei Molè. Alcuni erano già finiti nelle mani del clan, altri erano invece sul punto di venire acquisiti. Un piccolo impero fatto di slot machine scintillanti e spesso con schede taroccate che, attraverso una serie di prestanome più o meno puliti (ma tutti riconducibili al potentissimo casato di ‘ndrangheta che assieme agli ex sodali Piromalli ha accumulato una fortuna con la costruzione e la gestione del porto di Gioia Tauro) consentivano agli uomini di Antonio «u niru» Molè di fare cassa in fretta, nel duplice tentativo di espandersi sul redditizio mercato del gioco d'azzardo della Capitale e, contestualmente, di allargare l'orizzonte criminale allo spaccio di droga (che in città arrivava grazie ai canali privilegiati che i narcos sudamericani hanno stretto negli anni con le cosche calabresi) e al traffico di armi. LE MACCHINETTE «Alla conduzione degli esercizi pubblici – scrivono i carabinieri del Ros di Reggio nella monumentale informativa finita nel fascicolo della distrettuale antimafia dello Stretto – si accompagnava il connesso lucroso business delle sale giochi e, segnatamente, delle slot machines» che attraverso le società «Power Play» e «Md Trasporti», gestite dal binomio Galluccio-Mazzitelli per conto della cosca Molè, «riusciva ad amministrare decine di macchinette, installate nell'ambito di numerosi esercizi pubblici siti tra le province di Roma e Latina». Il business del gioco d'azzardo non conosce crisi e così gli uomini del clan lavoravano «duro» per poter ampliare il proprio raggio d'affari e aumentare il numero di slot presenti nel Lazio. Anche a costo di finire ai ferri corti con i boss della mala locale (come succede nel territorio di Ostia, feudo di quella che i magistrati della Dna chiamano «mafia autoctona») o di intervenire per modificare gli assetti consolidati delle famiglie di ‘ndrangheta nelle loro rispettive zone d'appartenenza. Gli uomini dei Molè hanno individuato infatti un locale che potrebbe rivelarsi una gallina dalle uova d'oro, ma il bar in questione «ospita» già le macchinette di un'altra famiglia di mafia: «da un lato – scrivono ancora i Ros – veniva evidenziata la sussistenza di una divisione del territorio tra le «famiglie» anche per quanto attiene tale specifico business, dall'altro affiorava la connessa piena capacità di Galluccio, di gestire perfettamente tali rapporti, a tutti i livelli». Ed è cosi sicuro delle proprie carte Galluccio che manda il suo factotum Claudio Gioè a trattare per gli spazi in un bar a via Giolitti, nel cuore della Capitale. Trattativa che in un primo momento viene respinta dal titolare che, «ben conscio delle dinamiche sottese alla complessiva gestione del settore e, a maggior ragione, coinvolgenti note famiglie calabresi, riteneva opportuno affidarsi nell'immediatezza all'intervento "risolutore" di Galluccio che, ad ogni buon conto, riferiva come in caso di problemi non avrebbe avuto problemi ad intervenire in considerazione delle sua "amicizie" sul posto». CONTROLLI ATTENUATI E se acquisire nuovi spazi non sembra un problema per gli uomini del clan, anche superare i controlli delle forze dell'ordine non sembra, spesso, un ostacolo insormontabile. Durante un controllo di routine, infatti, una pattuglia riscontra numerose storture (tra macchinette non collegate e giochi senza licenza) che vengono ignorate grazie all'intervento effettuato in direzione di un non meglio identificato appartenente alle forze dell'ordine che aveva consentito di «limitare i danni». «Diciamo che la telefonata di dovere l'ho fatta – racconta Gioè a Galluccio – e hanno fatto solo quello delle scommesse. Ma non hanno fatto niente, non hanno fatto multe (...)! Mi ha detto "guarda che io ho già sentito il tuo amico ma io però una cosa te la devo verbalizzare, quella che è meno di tutti e che non ti costa niente. Questa spegnila che non la devo vedere, poi il poker facciamo finta che non esiste e i cani (le scommesse sulle corse dei cani, ndr) proprio non li voglio vedere, spegnimi il proiettore, ringrazia il tuo amico e poi digli che passo a trovarlo"».

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