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La lezione di Meloni all'ipocrisia pacifista sulla guerra in Ucraina

Riccardo Mazzoni
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Sta spopolando sui media ucraini la risposta di Giorgia Meloni a una deputata grillina che aveva detto al governo: «Fermatevi!», sulle orme del solito canovaccio pacifista che, manipolando la realtà, tende a scambiare la causa con l’effetto e ad attribuire all’Occidente la responsabilità di una guerra che non accenna a finire. «Penso che lo debba dire a Vladimir Putin» – ha replicato la premier italiana – facendo notare che quel «Fermatevi» significa di fatto avallare l’invasione dell’Ucraina, e che è ipocrita scambiare un'invasione con la «pace». «Ma pensate davvero che a qualcuno piaccia la guerra? Pensate che qualcuno davvero si diverta a stare in questo quadro? No, ma chiaramente la situazione è un tantino più complessa di come la fa certa propaganda. Si parla di pace, perfetto: mi si può dire quali sono, secondo voi, le condizioni per aprire un tavolo di trattative?» – ha scandito la premier. Una posizione ferma e realistica che è stata molto apprezzata a Kiev, tanto da essere condivisa sui social anche da Mykhailo Podolyak, consigliere del presidente Zelensky, che ha scritto in italiano su Twitter: «Meloni ha spiegato brillantemente agli europei che continuano a umiliare l’Europa chiedendo di non aiutare l’Ucraina quali rischi questo comporterebbe».

 

 

Già, perché il trasversale fronte pacifista non è mai stato in grado di rispondere a una serie di domande scomode ma ineccepibili, poste senza troppi giri di parole da una Meloni più che mai determinata a tenere dritta la barra: «Voi ritenete che per aprire un qualsiasi tavolo di trattativa si debba o non si debba, a monte, chiedere alla Russia di cessare le ostilità e ritirare le truppe dal territorio ucraino?». «Ritenete che si debbano rivedere i confini dell’Ucraina e come?». «Ritenete che si debbano dare a Mosca i territori che ha occupato e sui quali ha celebrato un referendum di autodeterminazione o no?». Questi sono i nodi cruciali della questione, se si vuol parlare seriamente di pace, altrimenti si sta facendo solo propaganda sulla pelle di una Nazione sovrana, di un popolo libero e del diritto internazionale, una linea irresponsabile perché fa esclusivamente il gioco di Putin, ma che sta trovando linfa e consensi sia nel Pd, grazie alle ambiguità della nuova segretaria, sia nel centrodestra, dove – nonostante il voto sempre compatto in Parlamento – si stanno moltiplicando le voci favorevoli a un fantomatico «tavolo della pace» tra Putin e Zelensky. Scenario certamente auspicabile ma che resta purtroppo un’ipotesi dell’irrealtà, e non per colpa di Zelensky.

 

 

Nel mirino dell’asse pacifista c’è soprattutto l’Europa, che sarebbe ormai preda di un bellicismo irreversibile a causa della «sudditanza psicologica» nei confronti degli Stati Uniti, e per questo non interessata a «ricercare la pace». Come se prima e dopo lo scoppio del conflitto Putin non fosse stato tempestato di inutili telefonate da parte di autorevoli leader europei in cerca di una soluzione politica alla crisi, e se la mediazione tentata da Erdogan non fosse miseramente fallita, al pari degli sforzi vaticani per fermare la guerra. L’ipotesi a cui questi costruttori di pace stanno lavorando sarebbe una mozione parlamentare «focalizzata a promuovere un’iniziativa diplomatica». Belle parole di circostanza, insomma, utili solo a compiacere le coscienze pacifiste che si alimentano di utopie ignorando volutamente il disegno imperiale di un dittatore che non ha alcuna intenzione di fermarsi, che sta massacrando un popolo, che ha già decimato il suo esercito e non può permettersi passi indietro, sedendosi a un tavolo di trattativa senza aver raggiunto gli obiettivi della sua «operazione» criminale. La storia dovrebbe insegnare che la protervia delle dittature non conosce pause, e che il pacifismo ideologico spesso fa rima con cinismo, e non è composto solo da anime belle, ma soprattutto dai nemici dell’Occidente pronti a correre in aiuto dell’autocrate di turno, senza fare distinzioni fra eredi del comunismo o teocrazie. Il no all’invio di armi all’Ucraina nasce da questi retaggi, da chi non intende difendere le liberaldemocrazie dall’assalto letale in atto, di cui l’Ucraina è la prima vittima. La bandiera della pace è dunque lo strumento obliquo per negare l’evidenza dei fatti (e dei misfatti di Putin).

 

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