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Caro Letta, le coalizioni "anti" non funzionano. La chimera del grande centro

Benedetta Frucci
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C’è una chimera che si aggira fra i palazzi e nelle redazioni dei giornali, quella del grande centro. Un centro che avrebbe diverse e taumaturgiche funzioni nella testa degli analisti e dei leader. A Matteo Salvini serve il centro di Forza Italia per competere con la sempre più forte alleata Giorgia Meloni. A Giorgia Meloni serve il centro per sperare di avere credibilità in Europa e quindi poter governare. A Enrico Letta serve il centro per costruire quello che chiamava campo largo prima e Ulivo ora nella speranza di riuscire ad avere un minimo di competitività nei collegi, visto che il centrodestra, pur se litigioso, resta ad oggi il futuro grande vincitore delle elezioni politiche.

 

Poi, c’è chi al centro prova a posizionarcisi, nonostante il curriculum non deponga a suo favore. Quest’ultimo è il caso di Luigi di Maio, che, stretto fra l’obbligo del doppio mandato e il declino inesorabile del Movimento guidato da Conte, ha pensato bene di cercare spazio proprio lì, laddove chiunque voglia governare deve andare a pescare consensi.

 

Infine c’è chi al centro ci sta davvero, Matteo Renzi e Carlo Calenda. Secondo l’ultimo sondaggio EMG, varrebbero ognuno il 4%: il che vorrebbe dire che, per correre, non avrebbero alcun bisogno di unirsi. Punterebbero infatti alle quote proporzionali, dando per persi i collegi, dove la partita si farebbe comunque quasi impossibile.

Matteo Renzi ha già iniziato a dire che l’unico voto utile è quello per Italia Viva, che ha portato Draghi e cacciato Conte. Carlo Calenda non ha alcuna intenzione, ad oggi, di allearsi con la destra e la sinistra. Solo che un giorno apre a Renzi, l’altro chiude. Senza capire davvero cosa abbia in mente: attualmente, Azione è solo un partito personale.

Poi c’è chi al centro ci vorrebbe tanto stare, ma che non è convinto dello strappo. Carfagna e Giorgetti, i due ministri che potrebbero contribuire alla nascita di un contenitore liberal riformista. 

Cosa accadrà non è dato sapere, ma un fatto resta chiaro: non sarà con l’accrocco del campo largo che il Pd potrà riavere spazio nel Paese. A volte, serve il coraggio di perdere. Per poi, con un’identità e un programma chiaro, provare a ricostruire. Non sembra che Letta abbia la forza di provarci.

 

La sua soluzione mira alla sopravvivenza: come può essere infatti attrattivo uno schieramento che va da Conte a Renzi e Calenda? Uno schieramento tenuto insieme con la colla, senza valori comuni, soltanto in un’ottica anti Meloni? La storia ce l’ha insegnato con l’anti berlusconiano: la politica si fa con le idee, non contro qualcuno. Sottovalutare questo aspetto significa condannare il Pd a un ristagno perenne, a una poltiglia ideologica che non dà risposte alle esigenze dei cittadini ma mira solo a conservare il bacino di voti su cui storicamente può contare. 
 

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