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Tassi senza freni, imprese in crisi. Annuncio Bce: strette a oltranza

Gianluca Zapponini
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Un tempo il problema dell’Italia, o meglio del suo debito, erano i mercati. Che fidandosi poco dello Stivale, spesso voltavano le spalle, negando la sottoscrizione di titoli pubblici o chiedendo un premio più ricco per farlo, facendo salire lo spread. Ora che invece gli investitori sembrano credere in Giorgia Meloni (la prova è nello spread Btp/Bund, da settimane saldamente sotto i 200 punti base), ecco che è la Bce a mettere i bastoni tra le ruote all’Italia. Da quando Francoforte ha cominciato a invertire, luglio 2022, la propria politica monetaria il debito italiano è infatti diventato sempre più pesante. Tassi più alti vuol dire cedole più generose agli investitori e dunque una maggiore spesa per assicurarsi la sottoscrizione dei titoli. Oltre che mutui più onerosi per le famiglie. E così quando ieri, di buon mattino, il capo-economista dell'Eurotower, Philip Lane, ha messo le mani avanti, affermando che dopo il board di marzo che porterà il costo del denaro al 3,5% grazie a una nuova stretta da 50 punti base, Francoforte punterà ad arrivare dritta al 4% entro fine anno, qualcuno ha fatto un salto sulla sedia.

 

 

A cominciare dal ministro dell'Economia, Giancarlo Giorgetti, per il quale così facendo, si rischia di mettere nuovamente sotto pressione il debito italiano. Messaggio recapitato a Francoforte, se ne vedrà l’effetto, forse. Poi ci sono i numeri, forse più utili a capire la situazione rispetto ai messaggi politici. Per esempio quelli di Cerved. I quali raccontano come nel 2022, a causa del rallentamento dell’economia, ma anche dell’aumento dei prezzi e dei tassi d’interesse, sono nate in Italia 89.192 nuove imprese, cioè 10.587 in meno (-10,6%) rispetto al 2021 e in calo (-5,9%) anche sul 2019, quando per la prima volta si è invertito un trend positivo che durava dal 2013. Va da sé che «questo non potrà che avere un impatto negativo sull’economia complessiva, perché le start-up negli ultimi 15 anni sono state il motore della crescita occupazionale». E che le mancate nascite del 2022 rischiano di tradursi in 27.080 addetti in meno e in un calo di 2,5 miliardi di fatturato. Non è finita.

 

 

Anche il mondo del credito è costretto a pagare lo scotto della politica monetaria di Christine Lagarde. Secondo i lavoratori del sindacato dei bancari Unisin, l’annuncio di ieri è «una vera e propria doccia fredda, anzi gelida, per tutti coloro che ormai da mesi stanno vedendo man mano aumentare il costo degli interessi sui prestiti e sui mutui in particolare a tasso variabile. La rapidità con cui i tassi d’interesse salgono non corrisponde ad un altrettanto rapido miglioramento di quelli passivi pagati sui depositi in conto corrente. È evidente che tale andamento favorisce essenzialmente le banche, per lo meno nel breve periodo poiché nel medio/lungo potrebbe determinare conseguenze in termini di tenuta del sistema sociale ed economico, rispetto ai correntisti e a coloro che hanno necessità di un prestito o di un mutuo».

 

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