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L'asse Russia-Cina si rinforza con il gasdotto Gazprom. L'Occidente si opponga ai despoti che vogliono ridisegnare il mondo

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Andrea Amata
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La crisi bellica scatenata dalla libidine espansionista della Russia ha nel suo condottiero, Vladimir Putin, il dna ideologico di una vocazione indomabile che avrebbe dovuto suggerire all’Europa di prevederne gli sviluppi nefasti. La figura di Putin è il prodotto ideologico del comunismo più intransigente, quello che soffocava i dissidenti e vigilava in modo implacabile sull’osservanza dell’ortodossia di una dottrina negatrice di qualsiasi forma di ribellione. L’autarca moscovita è stato un tenente colonnello del Kgb, la polizia segreta sovietica, che venne creata da Kruscev nel 1954 con il mandato di essere “spada e scudo del Partito Comunista”. Dunque, il presidente russo, avendo una personalità plasmata dall’indottrinamento ideologico, ha un ego ipertrofico che si è assuefatto negli ultimi vent’anni a non concedere spazio al contradditorio.

 

Il dissenso democratico è anestetizzato e vissuto come una minaccia alle colonne granitiche su cui poggia il sistema di potere putiniano. Putin è stato educato nel santuario rosso del comunismo, dove tutte le energie venivano subordinate e sacrificate alla profezia della vittoria finale, a qualunque costo. Nella mentalità del presidente russo non è ammessa la possibilità della resa, che è pronto ad esorcizzare anche evocando l’impiego estremo delle armi atomiche. Per disinnescare il potenziale altamente distruttivo del moscovita occorre non indietreggiare nella strategia di isolarlo a livello internazionale, supportare la resistenza ucraina e amplificare mediaticamente il dissenso interno.

 

Dalla dissociazione degli oligarchi dall’escalation bellica si può principiare il rovesciamento di Putin che avrebbe difficoltà a gestire l’urto di una scissione emotiva che, dalle classi più popolari a quelle più agiate, passando per il ceto medio, ne metterebbe in discussione la lucidità di azione. Il ras russo appare sempre di più offuscato dal revanscismo, dall’indomito e inattuabile progetto di riconquistare la grandezza territoriale di matrice sovietica. Alla dissoluzione dell’Unione Sovietica avrebbe dovuto conseguire la certificazione interna della morte del comunismo e la somministrazione di anticorpi democratici. Invece, lo iato con il regime comunista non si è mai registrato. La Germania postnazista avvertiva il peso asfissiante dei sensi di colpa per aver tradito i codici della rispettabilità umana, mentre la Russia postsovietica sembra non aver patito moralmente la zavorra di un’eredità liberticida. Anzi, progetta di risuscitare il cadavere opprimente dell’imperialismo.

Tuttavia, quella che doveva essere una guerra lampo, con la destituzione fulminea del governo filo-occidentale di Zelensky, si sta rivelando più impegnativa del previsto. L’invasione rallenta anche perché è subentrato in parte il legame sentimentale fra i militari ucraini e russi con questi ultimi indotti ad essere meno spietati, tanto che il Cremlino ha ingaggiato i reparti paramilitari ceceni che si contraddistinguono per la loro spregiudicatezza operativa. L’elemento di grande ambiguità geopolitica è rappresentato dai cinesi. Di recente Gazprom ha firmato un contratto per la realizzazione del gasdotto Soyuz Vostok per connettere la Russia alla Cina. Tale infrastruttura per la fornitura energetica consentirebbe a Mosca di compensare l'interruzione dell’erogazione di gas verso l’Europa con la direttrice asiatica.

 

Da qui emerge l’interesse di Xi Jinping a preservare la cooperazione con Mosca sia per abbeverarsi alla sua fonte energetica sia per potenziarsi nell'equipaggiamento militare attraverso la dotazione di tecnologia bellica russa. La Russia e la Cina hanno già saldato i loro rapporti con la dichiarazione congiunta che ha decretato la reciproca amicizia senza limiti, confermandosi l’affinità con l’astensione della Repubblica Popolare Cinese sulla risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che “deplorava l’aggressione da parte di Mosca”. Un binomio inquietante a cui va contrapposta la multilateralità democratica occidentale, che deve opporsi con ogni mezzo al tentativo dei despoti di turno di ridisegnare l’ordine globale.

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