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Sulla quarta dose è già guerra dei virologi. "Inevitabile", "Non si può cambiare una volta al mese"

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Per Franco Locatelli, presidente del Consiglio superiore di sanità e coordinatore del Comitato tecnico scientifico, "una quarta dose del vaccino anti-Covid è una possibilità concreta". Insomma, neanche il tempo di "metabolizzare" la terza, resasi necessaria dalle evidenze sul calo dell'efficacia del vaccino anti-Covid, che la variante Omicron cambia le carte in tavola. Ma tra gli esperti non c'è unanimità di vedute. 

 

Nel "partito" della quarta dose c'è Matteo Bassetti. L'infettivologo del San Martino di Genova non ha dubbi: "È evidente che nel 2022 faremo una quarta dose" di vaccino per Covid-19, "bisogna solo capire quando, non credo che si farà nei primi mesi del nuovo anno per chi ha fatto e sta facendo adesso terza dose. Dovremo attendere i risultati degli studi, vedere quanto dura l’immunità del ciclo completo con 3 dosi e poi valutare quando ci sarà bisogno della quarta", dice all’Adnkronos Salute. 

 

"Probabilmente si farà una quarta dose - prosegue Bassetti - con un vaccino migliorato e adeguato alle varianti. Omicron, più contagiosa della Delta, non mi sembra che sia un problema rilevante dal punto di vista clinico, non sta dando quadri clinici devastanti, quindi mi preoccupa relativamente".

 

Ma gli italiani come accoglieranno l'ulteriore richiamo? "Se fare la quarta dose significa avere i numeri di attuali di Covid-19 e continuare a convivere con il virus depotenziandolo, non credo che i cittadini italiani avranno problemi se gli si dirà di vaccinarsi per la quarta volta nel 2022. L’atteggiamento del ’ah, ma ci avete fatto fare 3 dosi, adesso anche una quarta' è sbagliato, perché è un atteggiamento di chiusura nei confronti dei progressi della medicina e della scienza. Liberi tutti di pensare quello che vogliono, ma la raccomandazione medica sarà questa". 

Ma sulle parole di Locatelli, che parla da coordinatore del Cts ovvero dell'organismo che supporta il governo sulla gestione della pandemia, anche gli esperti si dividono. L’immunologo Mauro Minelli, immunologo e responsabile per il Sud-Italia della Fondazione per la medicina personalizzata, mette in discussione scelte e comunicazione delle autorità. "È nei momenti più critici che si valuta e si misura il valore di chi decide e l’efficacia delle sue decisioni, che non possono cambiare una volta al mese. Altrimenti, più che decisioni diventano opzioni cabalistiche del tipo ’proviamo e vediamo come va. Poi se non va, cambiamo' - dice all'Adnkronos -  Perché fin dall’introduzione della cosiddetta terza dose non si è precisato subito che si sarebbe verificata sul campo (avendo al momento solo ’profezie' e non certezze univoche, consolidate e numericamente credibili) l’opportunità e la tempistica per procedere ad un nuovo eventuale richiamo?".  

 

Insomma, per Minelli sono tanti gli interrogativi ancora senza risposta: "Perché non mettere a punto una metodica di laboratorio - chiede - che possa dare informazioni attendibili sulle dinamiche dell’immunizzazione, utili, se non a personalizzare auspicabilmente le procedure vaccinali, almeno a ottenere riscontri fondati sui quali calendarizzare le eventuali, prossime dosi? E i guariti da Covid-19 come dovranno regolarsi? Per caso come se l’immunità naturale, pure robusta e rassicurante, fosse un addendo opzionale pur sapendo della grande improbabilità che un guarito da Covid-19 possa riammalarsi della stessa malattia?".

La questione è europea, è possibile che  "ogni stato membro decida per suo conto, generando letture difformi di un unico fenomeno e conseguenti disposizioni così tanto eterogenee? Ancora non è stato insediato un organismo centrale che decida in modo univoco per tutto il continente" è la domanda del medico. 

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