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Liste d'attesa infinite, un anno per la tac

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Antonio Sbraga
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La guerra dei 9 anni. Come nell’omonima ribellione irlandese del 1594, anche nella Regione Lazio il presidente, Nicola Zingaretti, è tornato a dichiarare «la guerra alle liste d’attesa» 9 anni dopo il primo annuncio delle ostilità («Abbiamo dichiarato guerra alle liste d'attesa», aveva già detto, infatti, il governatore anche il 18 settembre 2013 presentando il piano che «dal 1 gennaio 2014 porterà a una netta e drastica riduzione»). La storia è andata diversamente, con le file sempre più lunghe al punto che la Regione ha pure smesso di fare il «monitoraggio dei tempi d’attesa» che prima pubblicava settimanalmente: è rimasto bloccato da fine luglio dopo l’attacco hacker alla rete informatica regionale. Ora per il ritorno in trincea di Zingaretti c’è però il segretario generale del sindacato Sumai-Assoprof, Antonio Magi, a ricordare al governatore che «sono due anni che siamo pronti e in attesa che la guerra inizi davvero. Le armi però, oltre agli ambulatori aperti fino alle 22 (questa era la proposta-promessa sempre della Regione nel maggio 2020 mai attuata), devono però includere quanto già previsto dalle norme vigenti e cioè più concretamente portare a 38 ore i circa 1500 specialisti ambulatoriali interni, in servizio nel Lazio, che attualmente lavorano in media 20 ore settimanali. Chiaramente anche sostituendo i colleghi specialisti ambulatoriali che sono andati nel frattempo in quiescenza e non sostituiti».

Secondo il sindacalista, che è anche presidente dell’Ordine dei medici di Roma e provincia, «il raggiungimento del massimale orario permetterebbe così di aggiungere alle attuali prestazioni specialistiche circa 6 milioni di ulteriori esami dimezzando di fatto le liste d’attesa». Code talmente lunghe che intanto già debordano nel calendario 2023 per gli esami più richiesti (colonscopie, risonanze magnetiche, ecodoppler). Perché, oltre alla carenza di medici specialisti, c’è pure la mancanza di apparecchiature. C’è un’Asl, la Roma 5 con 5 ospedali e mezzo milione di residenti nel quadrante est della provincia, che non dispone di alcuna risonanza magnetica. Un anno fa l’assessore regionale alla Sanità, Alessio D’Amato, rispondendo ad un’interrogazione lamentò «le troppe lungaggini ministeriali per quanto riguarda la gestione dell’articolo 20», col quale era stato finanziato l’acquisto della risonanza magnetica per l’ospedale di Tivoli, che l’attende sin dal 2014. «Risolleciterò personalmente per iscritto, formalmente, gli uffici del Ministero, perché anch’io- assicurò D’Amato- ritengo che non ci siano motivi ulteriori per dilazionare i tempi». Ma non se ne è più saputo nulla. Mentre sul fronte dei medici da arruolare Magi chiede al presidente Zingaretti «di ottimizzare ciò che già abbiamo in casa invece di cercare eventuali soluzioni fantasiose. Soltanto così governeremo le liste d’attesa altrimenti, come dicono a Napoli, si fa solo ammuina oppure, peggio, si fa finta di combattere le guerre limitandosi a dichiararle senza lottare realmente».

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