
Dini: “La guerra in Ucraina finirà e Trump cambierà strategia. Meloni lo sa e va a trattare come leader d'Europa”

«Giorgia Meloni col nuovo presidente americano ha un rapporto migliore di ogni altro leader europeo. Il suo viaggio a Washington è fondamentale. Va a negoziare non solo per l’Italia, ma per l’intera Europa. Sappiamo tutti che l’obiettivo comune è arrivare a un compromesso con gli Stati Uniti». A dirlo l’ex presidente del Consiglio Lamberto Dini.
Per la prima volta l’Italia non subirà quanto deciso da Germania e Francia....
«Non sono d’accordo. Il presidente del Consiglio va in America a trattare per il bene e l’interesse di tutti i 27 Paesi dell’Unione. Sbagliato trattare in modo autonomo».
Quanto è importante, intanto, il lavoro diplomatico che la premier sta facendo in giro per il pianeta?
«Rafforzare i nostri legami con i paesi del Mediterraneo e del Nord Africa, in un momento in cui gli Stati Uniti stanno tirando i remi in barca, considerando che hanno decimato, se non annullato, aiuti umanitari e agenzie per lo sviluppo, è basilare. Può piacere o meno, Meloni sta facendo un lavoro importante per quanto concerne il futuro».
Che idea si è fatto rispetto alla politica di Donald Trump?
«È completamente sbagliata e ora lo cominciano a dire anche i repubblicani, i grandi investitori, le banche e soprattutto Wall Street. Ragione per cui Trump sarà costretto a cambiare strategia. Dall’interno lo obbligheranno. Il Congresso e le Corti Federali possono impugnare i suoi ordini esecutivi. Anche la scelta di far uscire dagli Stati Uniti milioni di latino americani entrati legalmente nel paese, ha scatenato una reazione, non di poco conto, all’interno dell’opinione pubblica. Una cosa è certa, il presidente registra una perdita importante di consensi e ciò, vuoi o non vuoi, lo obbligherà a rivedere le sue politiche. Non dimentichiamo che tra un anno e mezzo ci saranno le elezioni di “midterm”. E se si votasse oggi, Trump non avrebbe la maggioranza».
Ciò potrebbe rivelarsi utile anche per quanto concerne la trattativa sui dazi?
«Certamente! Meloni sa che la strada è una soltanto: negoziare. Bisogna aver pazienza e non compiere scelte affrettate. Considerando la nostra storia e i valori che condividiamo, l’Italia non può allontanarsi dall’America. Meloni lo sa bene e sta giocando la migliore partita possibile, anche guardando a nuovi mercati e interlocutori. Il problema è degli Stati Uniti che si stanno isolando dal resto del pianeta».
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Una questione ancora aperta è quella sull’Ucraina. Ieri 32 morti a Sumy. Perché ancora non si riesce a trovare una soluzione?
«Trump ha bisogno in politica estera di dimostrarsi un uomo di pace, ovvero colui che può mettere fine alle guerre. Ritengo, dunque, che, nelle prossime settimane, ci saranno sviluppi positivi per arrivare a un cessate il fuoco e poi, piano piano, muovere verso un accordo di pace. Una cosa è certa, bisogna tener conto che la Russia oggi, sul terreno, non è in una posizione di debolezza. Ragione per cui non accetterà mai che possano esserci soldati europei in Ucraina».
La chiusura di Volodymyr Zelensky, intanto, continua a portare morte. Non ritiene che chi è al governo di Kiev debba cambiare atteggiamento?
«La verità è che Zelensky non ha più uomini disposti ad andare a combattere. Ci sono defezioni. Il reclutamento non va avanti per le difficoltà legate alla corruzione nei centri. Gli ucraini all’estero non vogliono tornare. È costretto, dunque, a inviare giovani con poca esperienza militare. Ciò lo rende impopolare. L’Ucraina, a mio parere, non ha carte da giocare qualora gli Stati Uniti decidessero di non appoggiarla più. Se Trump, dunque, vorrà davvero un accordo, sarà difficile non arrivarci. La speranza, piuttosto, è un’altra».
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Quale?
«Che si arrivi a un accordo giusto».
Alcuni partiti come il Movimento 5 Stelle scendono in piazza per dire no alle no armi. Si ritrova con questa battaglia?
«Mobilitarsi per rafforzare le difese europee è indispensabile, considerando che gli Stati Uniti non sono più disposti a spendere risorse per la nostra sicurezza. Dobbiamo darci una mossa. L’idea, però, che ognuno abbia il proprio esercito, a mio parere, è la meno efficace. L’ideale anche se oggi non ci sono le condizioni è avere un esercito comune, come proposto nel 1953 da De Gasperi».
Perché questo progetto, oggi, è difficile da realizzare?
«Le tendenze sovraniste non aiutano questo processo. Aumenta, purtroppo, il fronte di chi è contrario a un’Europa federale».
Anche i protagonisti del processo di unificazione, vedi Romano Prodi e il suo siparietto con la giornalista Mediaset, stanno perdendo credibilità...
«Per quanto riguarda Prodi, c’è stato un incidente. A volte i giornalisti possono essere provocatori e gli anni, vuoi o non vuoi, passano per tutti. Non si può ad esempio ridurre tutta la discussione su Ventotene a una frase estrapolata. Tutti siamo d’accordo che la questione sulla proprietà privata è debole, ma ciò non basta a condannare un manifesto che parlava di Europa unita e federale».
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