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Dilemma Elly Schlein tra amici Usa e comunità Sikh

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Luigi Bisignani
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Caro direttore, Elly Schlein pare abbia ancora molto da fare prima dedicarsi al suo Pd multigender. Per ora, con l’aiuto dell’armocromista Enrica Chicchio, ha sistemato il guardaroba e assieme ad alcuni architetti di tendenza sta ultimando i lavori per rendere più fluido il suo ufficio al secondo piano di Largo del Nazareno, dove dicono che finora si è vista molto poco. Chissà se a lavori finiti, troverà ancora il partito. Le prossime elezioni nel Molise, i cui sondaggi danno vincenti i partiti di governo e dove il Pd ha trovato difficoltà persino a individuare candidati per la lista, saranno un altro duro banco di prova. Mentre sui grandi temi, dalla guerra alla riforma costituzionale, la segretaria ha poche idee, ambigue e confuse, incapace com’è di coniugare progressismo e realtà. L’ambivalenza della Schlein è che in piazza si presenta come una barricadiera in guerra contro il mondo ottuso e sordo ai temi etici e morali. In privato, invece, chi la incontra ne dà un giudizio di persona ragionevole e conciliante.

Molti l’hanno incrociata per la prima volta nei giardini del Quirinale dove è entrata tra le prime ed è uscita per ultima. Dicono sia gentile, attenta e che articola ragionamenti del tutto condivisibili. Ora però occorre un bravo mental coach per capire perché in pubblico prevale la sua carica di rabbia. Una doppiezza che sconcerta la base storica piddina ma che manda in visibilio i sostenitori dell’ultima ora, già pronti però a rinnegarla alla prima occasione. Allargare il campo, come richiede appunto la base, vuol dire non finire dentro una sinistra troppo demagogica che costringerebbe i vari Guerini, Lotti e Margiotta a un addio per loro comunque doloroso. I dirigenti che l’hanno finora maggiormente appoggiata, Franceschini e Boccia, assieme al grande vecchio Ugo Sposetti sono allibiti. E mentre il mondo rosso le si sfalda attorno, lei pare stia solo pensando a un colpo puramente mediatico, che finirà davvero per squassare tutto: piazzare cinque capilista donna alle prossime europee. Peraltro non è certo una novità visto che in passato l’aveva già fatto Matteo Renzi. L’unico nome in campo di una certa serietà e autorevolezza potrebbe essere nella circoscrizione del sud, Lucia Annunziata, fresca di siparietto anti Meloni. Ambirebbe anche Francesca Bria, grillina della prima ora, ricordata per aver testimoniato contro Gianni De Gennaro, capo della polizia ai tempi del G7 di Genova ed ora folgorata da Andrea Orlando. E poi c’è la fedelissima Marta Bonafoni, consigliera regionale, coordinatrice di una segreteria che non si riunisce mai, la quale aveva già platealmente “tradito” Nicola Zingaretti e che una vecchia volpe come Pierluigi Castagnetti, fondatore del Pd e presidente dell’Associazione Popolari non ha mai neppure conosciuto.

 

 

 

Bonafoni e Schlein si sono incontrate a Borgo Hermada, in provincia di Latina, dove vive gran parte della comunità Sikh (notoriamente bacino elettorale delle primarie PD… ! ) che lavora nei campi dell’agro pontino. Ma questa idea delle cinque donne ha scatenato i maschietti del partito, tutti pronti a traslocare a Bruxelles da capilista. Scalda i motori il Conte Paolo Gentiloni, insieme a Bonaccini così come Zingaretti che non trova pace.. Elly ha ormai capito che poco può fare contro quei cacicchi che vorrebbe fuori dal partito e per questo si sta concentrando sui cosiddetti “cacicchini”, in primis cercando di mettere in un angolo il figlio del governatore De Luca da vicepresidente del gruppo parlamentare della Camera.

Forse è meglio che desista, perché la resistenza piddina è pronta ad impallinarla. Tuttavia potrebbe avere qualche chance qualora arrivasse un doppio incredibile aiutino, ipotesi suggestiva ma non improbabile: se giungesse manforte da una agguerrita e molto introdotta frangia repubblicana con agganci nel deep state degli Stati Uniti, Paese dove lei ha studiato, dove suo padre ha insegnato e di cui Elly ha il passaporto, che non vede bene la travolgente ascesa della Meloni. 
E ancora, sul campo opposto, se la società americana Social Changes, vicina ai democratici, che già da qualche mese ha deciso di metterla sotto osservazione alzasse il tiro, sostenendola, Elly potrebbe resistere. In fondo gli americani in Italia hanno fatto sempre più partite, basta ricordare l’operazione Soros in aiuto dei grillini che si è visto il disastro che ha prodotto. Se non bastasse, sarebbe istruttivo tornare indietro ai tempi di Craxi, punito per l’atteggiamento fiero nel caso Sigonella, e di Andreotti, al quale probabilmente, secondo i suoi sospetti, settori dell’FBI hanno giocato qualche trabocchetto.

E come non ricordare il ruolo ambiguo del consolato americano di Milano ai tempi di Mani Pulite che ha travolto la Prima repubblica. È di grande interesse il libro di Andrea Spiri «The end 1992 1994» (Baldini+Castoldi editore) che descrive la fine della prima repubblica negli archivi segreti americani. Tra centinaia di dispacci desecretati dal Dipartimento di Stato se ne riporta uno datato 1993 (eo12358 rif.11308) nel quale Andreotti chiede di essere ricevuto all’ambasciata americana per difendersi dalle accuse spiegando che Cosa Nostra vuole vendicarsi di lui e cerca di incastrarlo. Il senatore a vita racconta che a volere la sua fine fossero «mafiosi americani e spezzoni deviati dei servizi segreti italiani». Qualcuno prepara un drone Schlein da oltreoceano? Fantapolitica certamente. A pensar male si fa peccato, ma spesso ci si indovina, diceva il Divo.

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