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Meloni nella "tana" della Cgil: no al salario minimo. E difende la riforma del fisco

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No al salario minimo. No al Reddito di cittadinanza. Sì alla riforma del fisco varata dal governo. Nella tana del 'nemico' Cgil, al congresso del sindacato a Rimini, Giorgia Meloni prende la parola sul palco - dopo l'introduzione del segretario Maurizio Landini - e non arretra su nessuno dei temi della sua agenda. Del resto, è consapevole che non ci sia "nulla di quello che ha fatto il governo su cui la Cgil è d'accordo". Ma non per questo intende sottrarsi al 'corpo a corpo': "A questa occasione non ho voluto rinunciare per rispetto della più antica organizzazione del lavoro della nostra nazione" e "in coerenza con un percorso di confronto e ascolto che il governo sta portando avanti". La premier ripete più volte la parola "confronto", che "è necessario e utile. Ci sono ottime ragioni per confrontarsi con schiettezza e con le ragioni che ognuno di noi rivendica legittimamente", esordisce dal podio. Un "confronto" che "non considero finto" ma "produttivo anche quando non siamo d'accordo". Anzi - è l'invito finale della presidente del Consiglio alla platea - "rivendicate senza sconti le vostre istanze nei confronti del governo. Magari non saremo d'accordo ma quelle istanze troveranno sempre un ascolto serio e privo di pregiudizi".

 

Se l'apertura però c'è sul metodo, nel merito Meloni non cede su nulla. A partire dal salario minimo. "Sui salari c'è un'emergenza", ammette, ma "serve intraprendere una strada diversa, puntando tutto sulla crescita economica", perché "la ricchezza la creano le imprese e i lavoratori". E quindi "l'introduzione del salario minimo legale non credo sia la strada più efficace, perché ho paura che divenga non una tutela aggiuntiva rispetto alla contrattazione collettiva ma una tutela sostitutiva. Credo invece che bisogna estendere la contrattazione ai settori non coperti, combattere i contratti pirata, ridurre il carico fiscale sul lavoro", sono le proposte della premier.

 

Stessa chiusura sul Reddito di cittadinanza. Abolirlo "per chi è in grado di lavorare è stato doveroso", rivendica Meloni, replicando alla relazione di Landini che "ci chiede: cosa vi hanno fatto i poveri? Non ci hanno fatto niente, è per questo che non vogliamo mantenerli in una condizione di povertà come ha fatto il reddito di cittadinanza. L'unico modo per uscire da quella condizione è il lavoro", sentenzia la presidente del Consiglio, lanciando una stoccata al Movimento 5 Stelle: "Ci dicevano che la povertà si poteva abolire per decreto" ma "nonostante i decreti la povertà non è stata abolita ma è aumentata". Provocazione che viene raccolta dal leader del M5S Giuseppe Conte, per il quale Meloni "ha attaccato le riforme del Movimento 5 Stelle per chi è in difficoltà e la nostra proposta di salario minimo legale. Se ne faccia una ragione, continueremo a opporci alla sua idea di Paese: pugno di ferro con i più deboli, inchino ai privilegiati!".

 

Neppure sulla riforma del fisco, votata ieri dal governo, la presidente del Consiglio accenna a passi indietro. Anzi, il disegno di legge delega è stato "frettolosamente bocciato da alcuni", rimprovera alla Cgil. Invece "vogliamo creare un rapporto diverso tra fisco e contribuente, dare maggiori garanzie contro uno Stato che a volte è sembrato vessatorio. Che non significa tollerare l'evasione fiscale" ma "non confondere la lotta all'evasione fiscale con la caccia al gettito". Meloni sembra puntare molto su questa riforma, perché "vogliamo usare la leva fiscale come strumento base della crescita economica", aggiunge, spiegando che "non viene meno la progressività" ma si amplia "sensibilmente lo scaglione di chi rientra nella prima aliquota, quella più bassa, per ricomprendere al suo interno molti lavoratori dipendenti". Per i quali, come per gli autonomi, si prevede una flat tax "sugli incrementi di salario rispetto agli anni o all'anno precedente", continua la premier, riassumendo così il senso della nuova delega sul fisco: "Una sostanziale introduzione del riconoscimento del principio del merito perché, per come la vedo io, il merito è l'unico, solo, vero, ascensore sociale che esista", il giusto riconoscimento a chi "si rimbocca le maniche, produce di più, lavora di più". Un incentivo che per altro verso va esteso anche alle imprese: "Vogliamo abbassare gradualmente l'Ires", ma solo per quelle che investono e assumono a tempo indeterminato in Italia", conclude Meloni, perché "il principio che io vorrei cercare di realizzare è: più assumi, meno tasse paghi".

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