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Attacco a Meloni, l'Europa dei leader democratici che non rispettano il voto italiano

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Ingerenza, tutela, controllo. Per una volta, dopo quasi tre lustri, in Italia una coalizione si avvia a formare un governo sulla base di un chiaro mandato elettorale, e si innesca la doppia tenaglia del «monitoraggio». Da un lato, le anime belle del progressismo di varia intensità, dall'altro l'areopago delle istituzioni europee. Reazione al fatto che il traino del centro destra è esercitato da una forza, Fratelli d'Italia, e da una leader, Giorgia Meloni, non certo vocate all'eurolirismo ideologico. Ed è tutto un faro acceso, manco fossimo una succursale del Burkina Faso, o magari dell'amata (da lorsignori) Turchia trapiantate sull'affaccio europeo al Mediterraneo. In realtà, l'operazione è iniziata già in campagna elettorale, nelle settimane in cui si cominciava ad essere nettamente prevedibile quel risultato poi confermato dalle urne.

Dunque, prima che gli italiani fossero chiamati al voto, la presidente della Commissione Europea Ursula von der Lyen, interpellata sulle elezioni nel Bel paese a margine di una conferenza a Princeton, diceva: «vedremo i risultati. Il mio approccio è che qualunque governo democratico voglia lavorare con noi, ci lavoriamo insieme». Tuttavia, «se le cose vanno in una direzione difficile, e ho parlato di Polonia e Ungheria, abbiamo gli strumenti».

Artificio verbale per accostare, con molta eleganza e senza entrare a gamba tesa, l'Italia del centrodestra a guida Meloni con i Paesi dell'Est Europa che danno maggiori grattacapi a Bruxelles. All'indomani delle elezioni, inoltre, un portavoce dell'Esecutivo Ue, Eric Maker la metteva giù così: «speriamo di avere una cooperazione costruttiva con le autorità italiane», dove quello «speriamo» significa, in soldoni, mettere in dubbio l'atteggiamento di un Paese fondatore, già prima che il nuovo governo venga alla luce. E di atteggiamenti grondanti di pregiudizi, da molti esponenti dei nostri (in teoria) partner, ne abbiamo letti a iosa, nelle ore immediatamente successive alle urne e nei giorni successive.

Prova lampante arriva, al pari di ieri, ancora dalla Francia, con il Primo Ministro, Elisabeth Borne: «ovviamente saremo attenti» sull'evoluzione della politica italiana «a garantire che i valori sui diritti umani, in particolare sul rispetto del diritto all'aborto, siano rispettati da tutti». Anche qui, «vigilanza». Non proprio zucchero, poi, arriva da Josè Manuel Albarès, ministro degli Esteri spagnolo, ovviamente del Partito Socialista: «I populismi finiscono sempre in un disastro. La loro risposta è sempre la stressa: chiudiamoci in noi stessi e torniamo al passato».

Tra le cartoline di benvenuto più aspre, poi, quella di Katharina Barley, vice presidente del Parlamento Europeo, partito socialdemocratico: «La vittoria del centrodestra alle elezioni in Italia è preoccupante». E ancora, sempre dall'Europarlamento, sono arrivate le dichiarazioni, molto virulente, di Iratxe Garcia Perez, presidente del gruppo socialdemocratico, che ha espresso «preoccupazione» a causa dell'alleanza «del Ppe con Meloni in Italia» circostanza definita come «deriva preoccupante». Parole che, messe insieme, suonano come una condanna della libera scelta di un popolo. E questo, sì, sconcerta assai.

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