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Caso Boone, dalla Francia veleni su Giorgia Meloni. Mattarella si infuria

Carlantonio Solimene
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Alla fine per chiudere il caso sono dovuti intervenire i due «pesi massimi». Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella per sottolineare che «l'Italia sa badare a se stessa nel rispetto della sua Costituzione e dei valori dell'Unione Europea». E il suo omologo francese Emmanuel Macron per ribadire che «chiunque sarà designato per essere il prossimo presidente del Consiglio italiano, la Francia ci lavorerà con buona volontà per far avanzare il progetto europeo nel quale crediamo».

Prima della «pace», però, il barometro dei rapporti tra Roma e Parigi aveva segnato tempesta. Tutto a causa dell'intervista concessa a «Repubblica» dalla ministra francese agli Affari europei Laurence Boone. Che, nel definire le relazioni con il governo italiano destinato a insediarsi dopo Draghi, aveva testualmente detto: «Vogliamo lavorare con Roma ma vigileremo sul rispetto di diritti e libertà». Come se il presumibile insediamento a Palazzo Chigi di Giorgia Meloni rappresentasse in qualche modo l'accensione di una spia d'allarme per la democrazia italiana.

Una provocazione inaccettabile per la leader di Fratelli d'Italia. Tanto più perché si è trattato di una reiterazione di quanto già datto dal primo ministro francese Élisabeth Borne all'indomani del voto, con quel «saremo attenti che i valori sui diritti umani e sul diritto all'aborto siano rispettati da tutti» che già aveva provocato irritazione a via della Scrofa. Così Meloni, cui evidentemente non è bastato il basso profilo adottato dopo le elezioni per scansare le polemiche, ha preso carta e penna e ha vergato una nota di fuoco: «Voglio sperare che, come spesso accade, la stampa di sinistra abbia travisato le reali dichiarazioni fatte da esponenti di governo stranieri- ha scritto la premier in pectore - e confido che il governo francese smentisca immediatamente queste parole, che somigliano troppo a una inaccettabile minaccia di ingerenza contro uno Stato sovrano, membro dell'Unione Europea. L'era dei governi a guida Pd che chiedono tutela all'estero è finita, credo sia chiaro a tutti, in Italia e in Europa».

La smentita di Parigi, in realtà, si è fatta attendere per qualche ora. Così nel frattempo in Italia le tensioni non si sono placate. E alle scontate recriminazioni del centrodestra si è aggiunto anche qualche (isolato) esponente dell'opposizione, come il leader del Terzo polo Carlo Calenda: «La Francia non ha nessuna funzione di vigilanza sull'Italia, si vigilassero i fatti loro, che ne hanno tanti». Poi era stato il turno del premier Mario Draghi che, a margine del Consiglio europeo di Praga, alla domanda su presunti timori nelle cancellerie dell'Unione sul prossimo governo italiano, aveva replicato tranchant: «Preoccupazione? No, c'è molta curiosità con un cambio di governo così importante, ma non c'è preoccupazione. C'è un gran rispetto delle scelte degli italiani e c'è grande interesse su come evolverà la linea del nuovo governo. La linea politica estera dovrebbe essere invariata». Infine, affidata a fonti informali, la retromarcia del ministero francese degli Affari europei: «Non intendiamo dare lezioni a nessuno e il pensiero della ministra è stato eccessivamente semplificato nell'intervista». «La Francia rispetta ovviamente la scelta democratica degli italiani. Il ministro, che è vicino all'Italia, vuole portare avanti il lavoro di cooperazione e desidera dialogare con il futuro esecutivo il prima possibile» la conclusione.

Caso chiuso, quindi. Anche se, a far rumore, è l'assoluto silenzio di Pd e Movimento 5 Stelle. Spiazzati, probabilmente, dall'energica difesa esercitata da Mattarella. Che, peraltro, aveva zittito anche Boris Johnson per una battuta infelice sugli italiani all'epoca del Conte Bis. A dimostrazione che il Quirinale non applica doppi standard. A differenza di altri.

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