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Lega, Salvini resta al comando e avvia la ricostruzione: cosa ci ha penalizzato

Pietro De Leo
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È il Matteo Salvini che, dopo una travagliata prova elettorale, si rialza, mette in fila gli elementi, e lo fa in una conferenza stampa a via Bellerio, sede nazionale della Lega dopo una notte conclusa, andando a letto «un po' incazzato», per sua stessa ammissione. Sentimento che, poi, ha lasciato il posto all'essere «carico a molla». Partendo dai numeri, «il dato della Lega non mi soddisfa, non è quello per cui ho lavorato. Ma - aggiunge - con il 9% siamo in un governo di centrodestra in cui saremo protagonisti». In ogni caso, «sono cento tondi i parlamentari della Lega al lavoro da domani (oggi n.d.r)», un partito che è «secondo nel centrodestra e ce la giochiamo con il Pd come secondo" nel quadro politico generale». Rende merito, per il risultato, alla leader di Fratelli d'Italia Giorgia Meloni, con cui durante la notte dello spoglio, racconta, si è scambiato alcuni messaggi. A lei, dice, «faccio ovviamente i complimenti, è stata brava. Lavoreremo insieme a lungo», con una prospettiva di stabilità: «Conto che per almeno cinque anni si tiri dritto senza cambiamenti con una maggioranza chiara di centrodestra». In generale, sull'impatto del voto, riconosce che «è stata premiata l'opposizione». Tuttavia, Salvini non si pente della scelta di aver partecipato alla maggioranza del governo Draghi, «lo rifarei».

 

 

E ripercorre i posizionamenti che si sono succeduti in questa legislatura: «Su richiesta di parte rilevante della classe dirigente del partito uscimmo dal governo col M5S perché non ci davano l'autonomia; su richiesta di buona parte della classe dirigente entrammo nel governo Draghi perché gli imprenditori lo volevano e perché ci avrebbero dato l'autonomia». Pare, questo, un riferimento ai presidenti di Regione della Lega, che infatti durante il giorno sono entrati nel confronto sul risultato del partito. Il governatore veneto, Luca Zaia, infatti ha osservato: «È innegabile - dice all'Ansa - come il risultato ottenuto dalla Lega sia assolutamente deludente, e non ci possiamo omologare a questo trovando semplici giustificazioni. È un momento delicato per la Lega ed è bene affrontarlo con serietà». Mentre l'omologo lombardo, Attilio Fontana, ha dichiarato: «Non nascondo che il risultato di oggi del mio partito necessiti di una seria riflessione». Dunque Salvini dà spazio anche alla riorganizzazione del partito: «Entro la fine dell'anno faremo i congressi in tutte le 1.400 sedi. Poi faremo l'anno prossimo i congressi provinciali e regionali. Una fase di riorganizzazione del movimento, puntando su sindaci e amministratori, è fondamentale».

 

 

Temi che, probabilmente, saranno al centro del consiglio federale di oggi, a via Bellerio. Quanto al proprio futuro, alle sparute richieste di dimissioni che le agenzie battono (il deputato uscente Grimoldi e l'europarlamentare Gianantonio Da Re), il leader della Lega replica: «Non ho mai avuto così tanta determinazione e voglia di lavorare». E ancora: «Il mio mandato è in mano ai militanti, non in mano a due ex consiglieri regionali e un ex deputato. Non è un'autoassoluzione, mi prendo io tutte le responsabilità, mi faccio carico degli errori. Onori e oneri, sono abituato a fare così e conto che il 99% della comunità militante lavori insieme. Se qualcuno ha altri progetti, non siamo mica una caserma. Per me la Lega è tutto. Fino a che i militanti lo vorranno, faccio il segretario». Tra gli esclusi eccellenti che non riescono a entrare in Parlamento fa rumore sicuramente il nome di Umberto Bossi. Non ce l'hanno fatta nemmeno il "padre" della flat tax Armando Siri, il tesoriere del partito Giulio Centemero e l'"iper cattolico" Simone Pillon.

 

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