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Crisi energetica, governo costretto a varare un altro piano di emergenza

Dario Martini
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«Con le sanzioni abbiamo dichiarato una guerra economica alla Russia e l'Ue non ha valutato alcune conseguenze controproducenti che si sarebbero scatenate». Il ministro dello Sviluppo, Giancarlo Giorgetti, va dritto al problema. Dal palco del Meeting di Rimini invita a non farsi illusioni e indica la sola vera istituzione che può far qualcosa: l'Unione europea. Il problema è che, fino ad oggi, è rimasta inerme.

 

Per il ministro della Lega «le regole che ci siamo dati nel passato, che avevano senso, oggi sono controproducenti». Regole che l'Italia «ha messo in discussione, cioè la nostra richiesta del price cap (il tetto al prezzo, ndr) e quella di disaccoppiare il costo dell'energia elettrica rispetto a quello massimo del gas». La ricetta di Giorgetti è condivisa anche dal Partito democratico. Ma, dato che gli altri paesi dell'Unione, soprattutto quelli del Nord Europa, sono refrattari ad istituire un tetto al prezzo, l'unica altra strada è muoversi da soli. Matteo Salvini esorta l'esecutivo a sbrigarsi: «Draghi deve fare un provvedimento sul gas».

Anche Enrico Letta chiede al premier di non aspettare oltre: «Il governo intervenga subito». La ricetta? «Raddoppiare subito il credito di imposta alle imprese, mettere un tetto al prezzo del gas e un piano di risparmio energetico».

Il tema, per forza di cose, tiene banco e infiamma la campagna elettorale. Da Carlo Calenda (Azione) che chiede di sospendere la contesa tra i partiti per dedicarsi all'emergenza, a Giuseppe Conte (M5S) che coglie la palla al balzo per dichiarare la «sconfitta di Draghi nell'Unione europea».

 

Polemiche a parte, il governo è consapevole che bisogna fare qualcosa in tempi brevi. Sul tavolo c'è il pacchetto di aiuti per le imprese che dovrebbe arrivare a inizio settembre. Ne hanno parlato due giorni fa i ministri Daniele Franco (Economia) e Roberto Cingolani (Transizione ecologica). Per le aziende in affanno, che continuano a lanciare il loro grido d'allarme, si farà nuovamente leva sul credito d'imposta, mentre per le energivore, spiegano fonti del governo, «ci saranno due pacchetti importanti a prezzi calmierati, uno riguardante il gas e l'altro l'energia elettrica». Più di così, al momento è difficile fare. Intanto, oltre a portare avanti la battaglia sul tetto del prezzo del gas in Europa, c'è il nodo approvvigionamenti. Il problema del rigassificatore resta centrale, con gli occhi puntati su Piombino. Non si può andare oltre marzo, quando i tubi italiani saranno saturi. È allora che bisognerà trovare una destinazione ai cinque miliardi di metri cubi di gas necessari per svincolarci ancora di più dalla Russia, portando la dipendenza da Mosca dal 18% al 10% (prima della guerra in Ucraina era al 40%). L'obiettivo è essere completamente indipendenti entro il 2024. Attualmente gli stoccaggi di gas nel nostro Paese sono all'80%.

 

L'Italia, dunque, resta saldamente in preallarme -«early warning»- il livello in cui ci troviamo dal 26 febbraio scorso, dopo lo scoppio della guerra in Ucraina. I due step successivi sono «alert» ed «emergency». Nei primi due il mercato va avanti e c'è un monitoraggio costante che, in caso di un impennata dei rischi, fa passare dal preallarme all'allarme; nel terzo, il mercato non può funzionare e scattano misure straordinarie, che vanno dall'utilizzo dello stoccaggio strategico al razionamento dei consumi. 

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