Cerca
Logo
Cerca
Edicola digitale
+

Centristi sul carro di Mario Draghi. Ma il premier non lo sa ed è alla canna del gas

Luigi Bisignani
  • a
  • a
  • a

Caro direttore, SuperMario ancora non lo sa ma è alla canna del gas: politicamente, e per via degli approvvigionamenti, dopo il no incassato in Europa sul «price cap» del gas. Politicamente perché c'è il grande rischio che si ripeta il thriller del Quirinale: ormai siamo a «sette piccoli indiani», l'ultimo dei quali Di Maio, che assieme ai vari Renzi, Sala, Brugnaro, Toti, Quagliarello, Lupi, stanno cercando di presentarsi alle elezioni con la scritta «Draghi Premier» sotto al simbolo. Un'indicazione inequivocabile ma nella realtà solo uno specchietto per le allodole. Il capo del Governo, il cui maggior pregio/difetto è la ritrosia, dovrebbe tenersi alla larga da quelli che continuano a «nominarlo» invano, soprattutto visti i precedenti. Tuttavia forse ciò avviene perché, come lui stesso dice ai suoi intimi, non parla con nessuno e, per questo, tutti si sentono autorizzati a parlare di lui. Con gli approvvigionamenti di gas sta succedendo esattamente la stessa cosa. Negli anni '30 -molto prima del metaverso di Zuckerberg- ci aveva provato Stalin ad inventare una realtà parallela dove non esistevano crisi, carestie, inflazione. Oggi è il nostro «governo dei migliori» che, indossati gli occhiali rosa della propaganda, prova a dipingere un mondo senza problemi e un'Italia dove, al posto di latte e miele, scorrono gas ed energia. Una realtà virtuale aumentata dal Presidente del Consiglio, colpevole, nell'aver ispirato il suo scudiero Francesco Giavazzi che, nel marzo scorso, con la stessa verve grillina del proclama sulla fine della povertà, ha annunciato: «Andiamo verso i due mesi "migliori" dell'anno, aprile e maggio, quando l'Italia ha abbastanza energia idroelettrica e rinnovabile per ridurre a zero l'import di gas dalla Russia». Eppure, era già chiaro a tutti che si stava andando incontro ad uno dei più gravi periodi di siccità della storia.

 

 

C'è poi lo sfortunato ministro Cingolani che, nello stesso giorno in cui ha affermato che i depositi di gas italiani erano al 55% del massimo consentito, si è ritrovato, per ironia della sorte, con l'asta per lo stoccaggio andata deserta e con i prezzi, poco dopo, saliti alle stelle. Prima di lui, l'Ad dell'Eni Claudio Descalzi aveva disegnato i confini del «metaverso energetico italiano»: «L'offerta di gas è superiore alla domanda, non sono da temere razionamenti». Da tempo Eni è in giro per il mondo a caccia di gas e nel suo metaverso sono entrati Paesi quali il Congo, l'Angola ed il Mozambico. Peccato che in Congo il gas non venga estratto e che non ci sia un gasdotto; in Angola per ora di gas non c'è traccia e che in Mozambico, invece, che di gas ne ha tanto, il lavoro di perforazione dei nuovi campi è ancora da iniziare. Discorso a parte per il Qatar, il nostro fido cane a sei zampe ha appena firmato con il ricco emirato un contratto ad effetto per lo sfruttamento di uno dei più grandi giacimenti del mondo, annunciando una partecipazione del 25% che però nella realtà ammonta ad uno striminzito 3,1%. Nessuno chiede a Descalzi perché, di fronte a tutta questa abbondanza di gas, Eni non offra neanche un metro cubo in vendita alle nostre società municipalizzate. Per i maliziosi, l'Eni, anche se dovesse ricevere meno gas dalla Russia, ne avrà comunque a disposizione più di tutti gli altri. Con l'Antitrust che già segue con grande attenzione i movimenti del mercato. In questo scenario, Draghi continua a tentare di convincere, al momento con pochi risultati, i suoi partner europei a porre un tetto al prezzo del gas. Ma quand'anche ci riuscisse, a chi spetterebbe stabilire la quantità disponibile di gas?

 

 

Sono gli stessi interrogativi che posero a Stalin quando, nel 1927, fissò un prezzo massimo al grano. Allora le obiezioni furono spazzate via con le deportazioni mentre oggi in Italia il problema viene risolto alla radice: non si fanno proprio domande. Nello storytelling di Palazzo Chigi, le sanzioni fanno male solo alla Russia, avremo gas ed energia in quantità per tutto l'inverno e la Bce manterrà lo spread sotto controllo. Possibile che con un fuoriclasse come Draghi non si riescano a mettere in campo azioni concrete al posto di réclame pubblicitarie? Se guardiamo al conflitto russo-ucraino, gli Usa e la Nato ci hanno imposto finora delle scelte, spesso dolorose, e noi abbiamo obbedito agli ordini, come prova della nostra sacrosanta fedeltà agli americani. Però, in cambio, cosa abbiamo ottenuto? Di questi tempi sarebbe importante, proprio con SuperMario in campo, ricevere un po' di gas a buon prezzo. Ogni giorno, i principali player americani del settore fanno partire dal Golfo del Messico e dalla Louisiana tonnellate di «treni» di Lng (Liquefied natural gas) verso i più importanti mercati internazionali. La potentissima ExxonMobil dell'ex Segretario di Stato Tillerson, la Chenerie, storica società di Corpus Christi in Texas, e la Tellurian di Driftwood sono tra i primi esportatori. Perché allora, pur trattandosi di aziende private, dalla Casa Bianca o dal dipartimento di Stato non parte almeno una moral suasion per farci arrivare gas a condizioni più convenienti, viste le relazioni mai così strette tra il nostro Presidente del Consiglio e gli Usa? Non sarà forse perché il prezzo del gas in Asia è il doppio rispetto a quello europeo e agli Stati Uniti conviene venderlo lì? Magari varrebbe la pena, prima che Draghi traslochi alla Nato, cominciare anche noi a chiedere agli americani una "prova d'amore". Quantomeno, con Silvio ci saremmo potuti giocare la carta del latin lover.

 

Dai blog