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I falsi entusiasmi per la crescita del Pil. La crisi colpisce donne e giovani, sempre più precari

Hoara Borselli
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Si parla di ripresa economica, di Pil in crescita, per poi accorgersi che la condizione reale degli italiani non giustifica l'entusiasmo che suscita quel 6,5%, reso noto dall'Istat, sventolato come un vessillo di cui rallegrarsi. Gran parte della politica e dei media hanno avuto reazioni trionfalistiche rispetto a questi dati confortanti, senza essersi prima accertati che questa crescita economica abbia realmente avuto un impatto positivo sul Paese, migliorando la vita delle persone. Se il 2021 è stato caratterizzato da una crescita economica, dobbiamo dire che è stato caratterizzato anche dalla crescita della precarietà lavorativa che ha registrato un aumento percentuale del 5,4%. Come riferito dall'Istat, dei 540 mila posti di lavoro del 2021, 434 mila sono contratti a termine. Un festeggiamento amaro se si pensa che la crescita del Pil in Italia è associata all'aumento dell'impoverimento lavorativo a danno soprattutto dei giovani e delle donne, che si ritrovano vittime di una crescente disuguaglianza.

 

 

 

La pandemia si è abbattuta su un mercato del lavoro già caratterizzato da una forte sperequazione, allargando il dualismo tra lavoratori più e meno garantiti. Lo scarso investimento pubblico sulle nuove generazioni (in particolare la parte che va efficacemente a rafforzare la loro formazione e l'inserimento solido nel mondo del lavoro), è il principale nodo che vincola al ribasso le possibilità di crescita italiane, e questo nodo va sciolto prima ancora che sul piano del rapporto tra giovani e lavoro, su quello più alto del ruolo delle nuove generazioni nel modello di sviluppo del Paese, spiega il Cnel. Secondo quanto emerge dal nuovo rapporto dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL), il numero di giovani che attualmente non lavorano, non studiano e non frequentano corsi di formazione (NEET) sta aumentando in modo esponenziale. Le giovani donne hanno più del doppio della probabilità di essere NEET rispetto ai coetanei maschi. Si legge ancora nel rapporto stilato dal Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro: «Se non si inverte questa tendenza non solo si pregiudicano le prospettive economiche del Paese, ma si rischia di alterare in profondità il patto fra le generazioni che è un elemento costitutivo dell'assetto sociale, della sua equità e stabilità». Quanto invece alle donne, hanno pagato il prezzo più alto della crisi «in quanto impegnate a ricoprire ruoli e a svolgere lavori più precari, soprattutto nei servizi. Le donne non sono un soggetto svantaggiato. Sono la metà del mondo, la battaglia per l'uguaglianza di genere non può essere più solo un punto aggiunto di un programma politico, ma deve essere al centro di azioni concrete creando vantaggi economici, sociali e culturali per l'intero Paese».

 

 

Ad oggi ci sono oltre due milioni di lavoratrici e lavoratori che guadagnano circa 6 euro lordi all'ora, come afferma il Presidente dell'Inps Pasquale Tridico. Un impoverimento del lavoro che si somma alla piaga crescente delle morti sul lavoro che ci presentano numeri da far rabbrividire, ovvero 1.221 morti nel 2021 ed oltre 92 vite perse dal gennaio 2022 secondo quanto riferito dall'Inail. Una fotografia del Paese desolante, una realtà lontana anni luce dal trionfalismo che sentiamo aleggiare, rispetto ad una ripresa economica che non viene percepita dalle persone, sospese in balia di una precarietà che attanaglia e stringe la morsa. Quando il Capo dello Stato Mattarella, durante il suo discorso d'insediamento ha pronunciato questo monito: «Si attendono dalle Istituzioni della Repubblica garanzie di diritti, rassicurazione, sostegno e risposte al disagio degli italiani, di ogni età, di ogni regione, di ogni condizione sociale, ed in particolare quelli più in sofferenza», è stato fortemente applaudito. Ci auguriamo solo che quel gaudio non rimanga uno sterile esercizio di compiacimento bensì una presa di coscienza dimenticata fra gli scranni delle Camere.

 

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