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Draghi scatta ma la corsa per il Quirinale è a ostacoli

Franco Bechis
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Quasi in extremis, poco prima che Roberto Fico dichiarasse aperta la corsa al Quirinale, è scattato dai blocchi Mario Draghi, come veniva chiesto dai suoi supporter. Telefonate, incontri, chiacchiere che mano mano sono emerse durante la giornata, prima con Matteo Salvini, poi con Silvio Berlusconi, Enrico Letta e perfino Giuseppe Conte. Bocche cucite da tutti, ma secondo le ricostruzioni ufficiose raccolte nei loro entourage si può ben dire che ieri è partita in modo esplicito l'auto candidatura dell'attuale presidente del Consiglio al Colle, tanto è che si è parlato anche e soprattutto della composizione del possibile esecutivo che potrebbe prenderne il posto se il diretto interessato salisse lassù. Lo sparo dello starter si è dunque sentito, e dai blocchi di partenza finalmente Draghi è uscito.

 

Ma a fine giornata ha capito di non potere correre i cento metri in scioltezza e quasi senza avversari come aveva immaginato: è una corsa ad ostacoli, che non saranno pochi. E la squadra degli avversari in campo c'è, e piuttosto agguerrita anche se non è ancora scattata davvero, dando l'impressione che ancora una volta quella di Draghi sia stata una falsa partenza. Nulla è scontato negli incontri delle prossime ore, ma sta emergendo una contrarietà sempre più larga alla candidatura del premier in carica, per un motivo o per l'altro. Sulla carta resta il candidato che ha la maggioranza più larga di partenza: quella che lo sostiene oggi a palazzo Chigi  e gli ha votato la fiducia ogni volta che è stata chiesta. In quelle fila però molti lo vedono benissimo come capitano e regista della squadra, ma gli stessi non lo vorrebbero in panchina come allenatore, convinti che per la squadra verrebbe meno un bomber e senza goal si precipiterebbe in classifica.

 

L'ho raccontata con un paragone generoso, ma i toni in privato non sono proprio così zuccherosi. Nel Pd è larghissima l'area che non vuole Draghi al Quirinale, anche se ieri con dichiarazioni ufficiali sono emersi dall'anonimato i due ex Sel Dario Stefano e Laura Boldrini. Non contano tantissimo dalle parti del Nazareno, ma a mettersi di traverso lì in modo assai più felpato è l'area vasta che fa capo a Dario Franceschini insieme a molti ex democristiani. Anche nei Cinque stelle è altissima la resistenza a spostare Draghi da Chigi al Colle, e ogni volta che ha potuto (poi rimangiandosi qualche dichiarazione troppo esplicita) lo stesso Conte l'ha fatto capire. E oggi è davvero difficile potere scommettere un euro sui voti che Draghi potrebbe ottenere nelle fila del Movimento cinque stelle. Primo perché un suo spostamento rende difficile trovare una intesa solida sul governo e quindi mette a rischio quello scampolo di legislatura che ancora resterebbe, in grado però di garantire la pensione futura e qualche buono stipendio ancora un anno a chi è quasi certo di non avere un futuro in Parlamento. Poi perché già è stato difficile per chi veniva da quella storia politica accettare a palazzo Chigi al posto dell'amato Conte l'uomo che guidò le banche prima in Italia e poi in Europa. Ma hanno accettato con una smorfia la donazione di sangue necessaria in un momento particolare. Chiedere oggi il bis avendo nel proprio curriculum anche la responsabilità di avere consegnato per sette anni la guida della Repubblica a quel tipo di candidato potrebbe essere davvero troppo. E i franchi tiratori abbonderebbero nella prima forza politica. Se poi aggiungiamo lo scarso entusiasmo che ci sarebbe sia nelle fila della Lega che in quelle di Fratelli di Italia non fosse garantito (e non è possibile farlo) lo scioglimento anticipato della legislatura, è chiaro che ci troviamo in piena corsa ad ostacoli perfino per il candidato che veniva ritenuto più forte ai nastri di partenza.

 

E infatti fioriscono in queste ore altre candidature, che potrebbero essere anche di schieramento rendendo più complicata la partita. Nomi suggeriti dal centrodestra, con in testa il presidente del Senato, Elisabetta Casellati, che viene da quelle fila ma dal 2018 riveste per compito un ruolo super partes. O suggeriti dal centrosinistra, come sembra accadere con la ventilata candidatura del fondatore della comunità di Sant'Egidio, Andrea Riccardi. Personalità degne senza dubbio, ma che hanno poche garanzie di sfondare fra le truppe del fronte opposto. Quindi tutte da costruire. C'è ancora in primissimo piano Pieferdinando Casini, il nome più sussurrato del momento, che però nessuno ha ancora ufficialmente gettato nella mischia. Un fondatore del centrodestra che oggi è in Parlamento come indipendente nel Pd, dopo avere tentato la strada della terza via centrista: la sua forza come la sua debolezza sono tutte in quel percorso politico largo. Non è un candidato super partes: è un candidato che ha attraversato tutte le parti. Sono nate voci di intesa fra Conte e Salvini su un candidato che finora non era emerso nel toto-Quirinale, ma i due non hanno più i numeri che esistevano all'epoca del governo gialloverde e avrebbero bisogno dell'adesione altrui. Risultato: tutti si parlano, ma la soluzione non c'è. Ci sarà per forza, ma c'è bisogno ancora di tempo. Sperando di non perderne troppo, ve la racconteremo di giorno in giorno.

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