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Il lavoro non si vaccina. Paragone a valanga sul green pass in azienda: dipendenti discriminati

Gianluigi Paragone
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Stanno distruggendo il lavoro e i sindacati chiedono il green pass. L’articolo potrebbe anche finire qui perché per dirla con Peppino De Filippo: «E ho detto tutto». Ma siccome anche lo sketch con Totò andava avanti, procediamo. Stavolta seriamente.

Dal primo settembre l’obbligatorietà del lasciapassare entrerà in vigore. Nelle scuole, nonostante il caos denunciato dagli stessi dirigenti scolastici, non pochi saranno coloro che rischieranno di ritrovarsi ammoniti e poi senza stipendio. C’è chi (pochi) lo farà come resistenza politica ma ci sono coloro che - e sono i più - o non riusciranno a trovare uno slot disponibile per il tampone o si opporranno al principio per cui devono pagare per andare a lavorare. Ho già spiegato recentemente che ci toccherà aspettare un giudice - una specie di giudice di Berlino - affinchè i diritti dei cittadini e dei lavoratori siano affermati pienamente come dovrebbe essere. 

 

Fino a quel momento non possiamo che porre il tema, portando alla luce l’aleatorietà di un green pass che favorisce chi è vaccinato (gratuitamente) a danno di chi deve pagare un tampone per poter andare a lavorare come da contratto. O di chi, pur volendosi fare il tampone, non trova farmacie disponibili in un tempo che consenta la maggior copertura temporale possibile. Aggiungo inoltre che laddove non passasse il tampone salivare (il che è davvero una inspiegabile ingiustizia visto che persino una circolare del ministero della Salute ha sdoganato il test salivare) l’unica modalità sarebbe quella di vedersi infilato uno scovolino nel naso ogni 48 ore con rischio di micro lesioni. Chi paga?

 

Che fine fanno dunque i diritti dei lavoratori? Dove sta scritto che l’emergenza sanitaria consente la differenziazione tra lavoratori di serie A e lavoratori di serie B? Il garante della Privacy ha avvertito i presidi: non hanno un potere straordinario di conoscere i dati sanitari di chi lavora nelle scuole. Basterà? Non lo so.

Intanto il Partito democratico attraverso il suo segretario ha equiparato il Green Pass al semaforo: «Nessuno passa col rosso perché muore lui e ammazza qualcuno». Una metafora che replica esattamente il meccanismo terrorizzante del vaccino: passare col rosso non equivale di per sé a un omicidio, passare col rosso toglie punti se ti beccano e solo laddove vi fosse un evento sciagurato porterebbe alla morte. Ma la percentuale di siffatte situazioni drammatiche per fortuna è assolutamente bassa, rispetto alla infrazione di specie. Non è un automatismo.

 

Lasciato perdere dunque il semaforo lettiano (faceva più ridere il semaforo prodiano versione Guzzanti), arriviamo ai sindacati, i quali continuano nel loro cerchiobottismo, arrivando così ad autorizzare implicitamente le tante discriminazioni in corso, a cominciare dalla situazione delle mense nei luoghi di lavoro.

Le discriminazioni proseguono anche sul versante retributivo. I lavoratori in quarantena, infatti, rischiano un taglio allo stipendio fino a mille euro per due settimane di assenza, dal momento in cui il governo non ha rifinanziato l’indennità per i positivi in isolamento; pertanto se le aziende non copriranno i costi (e la vedo difficile) migliaia di lavoratori potrebbero perdere una cifra considerevole. E - va chiarito - il vaccino non immunizza dal pericolo di essere contagiati.

Insomma, il lavoro sta diventando sempre più una variabile da sacrificare sull’altare di una emergenza Covid che nemmeno SuperMario Draghi riesce a governare.
 

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