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Giuseppe Conte in imbarazzo sul reddito di cittadinanza: "Va migliorato per contrastare gli abusi"

Tommaso Carta
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«Il reddito di cittadinanza è frutto di una riforma complessa, dobbiamo prendere atto che va completata, affinata e bisogna reprimere gli abusi, che emergono e che sono, però, un modesto numero. E dobbiamo lavorare per incrementare le prospettive di reinserimento lavorativo e riqualificazione dei lavoratori e quindi le politiche attive collegate al reddito». Giuseppe Conte, nel corso del dibattito più importante del Meeting di Rimini, al cospetto di tutti gli altri leader politici, si ritrova in minoranza sul sussidio varato dal suo primo governo ed è costretto per la prima volta ad ammettere tutti i limiti del provvedimento. Pur difendendo la ratio della norma («e la nostra posizione è anche quella del premier Draghi») apre per la prima volta a modifiche sostanziali della riforma, soprattutto sul fronte delle politiche attive mai realizzate sul serio e sulle storture della misura. Rese ancora più evidenti da una stagione estiva nella quale svariati esercenti si sono visti opporre rifiuti alle varie offerte di lavoro proprio in virtù della ricezione del reddito.

 

 

Il tutto nel giorno in cui l’Inps ha aggiornato i numeri dei nuclei recettori, che a luglio 2021 sono stati 1,24 milioni, mentre i percettori di Pensione di Cittadinanza sono stati 133mila, per un totale di 1,37 milioni di nuclei e oltre 3 milioni di persone coinvolte. La distribuzione per aree geografiche vede 595mila beneficiari al Nord e 431mila al Centro, mentre nell’area Sud e Isole supera i 2 milioni di percettori. L’importo medio erogato a livello nazionale nel mese di luglio 2021 è di 548 euro. Uno sforzo economico considerevole che non ha dato i risultati attesi sul fronte dell’occupazione, al punto che il leader della Lega Matteo Salvini, tra coloro che votarono a favore dell’istituzione del Reddito, si è detto «pentito» per quella decisione. Per il resto nel confronto del meeting con gli stessi Conte e Salvini, Enrico Letta (Pd), Antonio Tajani (FI), Maurizio Lupi (NcI), Ettore Rosato (Iv) e Giorgia Meloni (FdI, in collegamento video) le tensioni non mancano e i primi sgambetti si registrano ancor prima di arrivare all’interno dei padiglioni della fiera. Il segretario del Pd conferma sin da subito la mozione di censura nei confronti del sottosegretario leghista Claudio Durigon dopo la sua proposta di ripristinare l’intitolazione di un parco di Latina ad Arnaldo Mussolini, fratello di Benito. «Credo sia incompatibile l’apologia del fascismo con la presenza dentro a questo governo, questa vicenda va risolta», taglia corto. «Ragioneremo io e Durigon su quello che è più utile fare per noi, per il movimento, per il governo e per l’Italia - si limita a replicare il leader del Carroccio, intercettato dai cronisti, aprendo per la prima volta a una possibile riflessione - perché di perdere tempo in polemiche sul passato non ne abbiamo nessuna voglia».

 

 

Dopo la difesa, però, Salvini torna all’attacco. Nel mirino c’è sempre la titolare del Viminale Luciana Lamorgese: «Non sono io a criticarla - dice - i numeri sui morti nel Mediterraneo sono di per sé sufficienti a bocciare l’operato della ministra, mi domando come abbia occupato il suo tempo in questi otto mesi». In questo caso è Letta a ripiegare: «Critiche pretestuose - sentenzia - Credo che il governo stia facendo un buon lavoro su questi temi e lo invoglio ad andare avanti». Una volta sul palco, poi, le prime scintille scoccano tra Conte e Salvini sulla crisi afgana. Il leader M5S ribadisce la necessità di un dialogo con i talebani - «che non significa dare loro legittimità politica», precisa - e respinge le critiche arrivate negli ultimi giorni: «Sono stato tacciato di essere l’avvocato dei tagliagole, l’alleato dei talebani. Quando si tratta di questioni così serie, finiamola di fare gli scienziati, i premi nobel della geopolitica», attacca. Il leader della Lega non ci sta e - tatticamente - sottoscrive «parola per parola» l’intervento di Letta centrato sull’accoglienza e sulla necessità di mettere in campo i corridoi umanitari ma prende le distanze dall’ex premier pentastellato: «Non sono d’accordo con l’avvocato Conte perché io il dialogo con i terroristi islamici non lo concepisco per principio e non li legittimo». Alleati divisi, poi, anche su lavoro e vaccini. Se Tajani, infatti, attacca le «misure punitive» nei confronti delle imprese previste a suo dire dal decreto anti delocalizzazione Orlando-Todde, Letta nega la loro esistenza e si dice convinto che si possa trovare una buona soluzione: «Il governo ha intenzione di lavorare, e bene, per far sì che nel nostro Paese ci sia l’economia sociale di mercato».

 

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