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Salvini manda in tilt il Pd che fa già agguati a Draghi

Franco Bechis
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Uscendo ieri da una porticina sul retro della Camera dei deputati dopo il suo esordio all'assemblea dei maggiorenti grillini il premier uscente Giuseppe Conte è sembrato finalmente disteso e rilassato. Tanto da strappare qualche risata ad Augusto Minzolini, il retroscenista del Giornale che lo attendeva al varco in solitaria: “Lo sa che è più simpatico ora?”. Giuseppi ha sorriso con saggezza: “eh, certo, quando si lascia il potere si è più simpatici anche per quelli a cui non si era simpatici...”. Minzolini ci ha provato: “allora, entrerà nel nuovo governo come ministro di Mario Draghi?”. Conte ha nuovamente sorriso: “Eh, no. Altrimenti la simpatia riconquistata la perdo subito tornando al potere...”. Chissà se era la verità... Ma è molto verosimile che non sia il sogno di Draghi avere il suo predecessore in un esecutivo che ha un solo compito fondativo: staccare radicalmente sia dallo stile che dalla caterva di errori dell'ultimo anno. Eppure qualcuno non solo dentro ai grillini fatica a capirlo assai più dell'avvocato Conte, che resta uomo di mondo e forse mira in questo momento a capitalizzare il consenso di cui ha goduto più in tesoretto politico che in un posticino laterale da ministro come quello che Beppe Grillo aveva immaginato per lui: un nuovo avveniristico ministero della “transizione energetica”. A non avere capito bene la nuova fase italiana a cui ha dato i natali con coraggio il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, è qualche scampolo della vecchia guardia Pd, quella uscita dalle rovine della storia comunista. Più di Conte a restare con la divisa del generale Giap, quello che combatté per lustri nella foresta una guerra immaginaria perché quella reale era finita senza che lui lo sapesse, è oggi Goffredo Bettini e il gruppo di nostalgici che lo affianca. Da quelle fila ieri mattina è sbucata la fucileria armata a dovere per impallinare sia il segretario del Pd, Nicola Zingaretti che il nuovo governo Draghi in preparazione. Convinti di dovere fare ancora i pretoriani di quel Conte che considerano ancora con poca intelligenza il Che Guevara in grado di guidare il caravanserraglio della sinistra italiana, hanno mitragliato in giro indiscrezioni su un Pd pronto a sfilarsi dal sostegno diretto al nuovo premier incaricato dopo che fra le truppe si erano unite quelle di Matteo Salvini: “con loro mai!. Faremo un passo indietro, appoggio esterno e decideremo di volta in volta come votare i provvedimenti”. Questi dispacci attribuiti a “persone vicine al segretario”, hanno fatto il giro dei palazzi di Roma, arrivando anche all'interno di quello dei gruppo dove i maggiorenti grillini erano in attesa dei risultati delle consultazioni di Draghi con la loro delegazione guidata da Grillo. Messaggi anonimi, ma uno più ingenuamente era firmato dal trasparente Gianni Cuperlo, sia pure meno chiaro e in politichese stretto. Il retroscena passando di sms in sms è arrivato a segno con tanto di attribuzione diretta ai vertici del Pd sul telefonino di Tommaso Labate, firma di punta del Corriere della Sera. Lo scopo era ottenerne la pubblicazione sul quotidiano nella edizione di stamattina per dare l'impressione di un po' di burrasca intorno al tentativo di Draghi. Sfortuna loro ieri Labate era di riposo dal lavoro e per non buttare via l'indiscrezione, l'ha subito girata ad Enrico Mentana che stava conducendo la sua maratona sulla crisi su La7. Lui ne ha dato notizia, e siccome ero ospite in studio in quel momento, ho cercato di verificarla in diretta. Ho scritto allo stesso Zingaretti per sapere se quella ipotesi di passo indietro e di appoggio esterno era fondata e lui ha risposto all'istante, cascando dal pero: “?????? Non ne so proprio nulla”. Era sincero, ma ha capito al volo l'agguato e nel giro di qualche minuto ha dettato all'ufficio stampa del Pd un comunicato per smentire duramente come “falsa” quella indiscrezione che stava diventando una buccia di banana.
Le notizie vanno sempre verificate, e facendolo probabilmente abbiamo sventato una trappola studiata apposta per mettere in difficoltà sia Zingaretti che Draghi. Ma l'episodio rende bene come sia andato nel pallone l'asse stesso della grande alleanza Pd-M5s-Conte, e come a rovesciare tutto sia bastato un quarto d'ora di conferenza stampa di Salvini con l'annuncio di un appoggio chiaro e senza particolari condizioni al governo Draghi. Era quello che aveva chiesto il Capo dello Stato, Mattarella, per rimettere in piedi un'Italia che era ormai crollata grazie ai pasticci combinati da quel gruppetto. Un governo di tutti e di salvezza naturale chiesto dal Quirinale non può fare dire a uno: “ah, se lo appoggia anche quell'altro io non posso”, perché lo stesso pensiero è un insulto rivolto non all'avversario politico, ma al Colle. Lo si poteva attendere da molti, ma per storia non dall'interno del Pd che in queste condizioni è abituato a stringere i denti. Ma ormai il Nazareno è diventato un Vietnam dove i generali Giap scorrazzano allegramente. Sarà complicato costruire la nuova Italia poggiando su forze politiche così squassate. Auguri a Draghi, perché la strada è evidentemente piena di inciampi.  
 

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