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Scatta il coprifuoco alle 21, il resto a caso

Franco Bechis
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Da domani scatterà il coprifuoco nazionale alle ore 21, vietando la circolazione serale se non per motivi di lavoro o di salute e la circolazione sui mezzi pubblici sarà ridotta prevedendo una capienza massima del 50% che dovrebbe ridurre i rischi dell’attuale affollamento. Tutte le scuole superiori si svuoteranno, continuando l’anno scolastico con la didattica a distanza per il periodo che sarà necessario. I centri commerciali verranno chiusi ovunque nei giorni festivi e in quelli prefestivi. Queste misure varranno in tutta Italia e saranno contenute nel nuovo Dpcm firmato dal presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. Non è quello che si chiama lockdown e le poche misure comuni, in particolare quelle su scuole e trasporti, sembrano di buon senso. Magari alcune regole andranno riviste rispetto ai precedenti dpcm. Ne cito una sola, piccola e banale: un conto è vietare il giro degli isolati a chi porta il cane a fare i suoi bisogni fra mezzanotte e le cinque del mattino, un conto è farlo dalle nove di sera: alle bestiole non si può chiedere così lunga continenza. Ma sono particolari.

In alcune zone di Italia invece le misure sono destinate ad essere più pesanti a seconda della gravità della epidemia in quel contesto. E qui la soluzione adottata dal governo sembra davvero un gran pasticcio, che rischia di fare impazzire i cittadini. Il meccanismo è piuttosto caotico, cerco di riassumere la spiegazione che ne ha fatto lo stesso Conte: l’Italia verrebbe divisa in tre macro-aree, una sorta di zone rosse, gialle e verdi per usare la terminologia classica della protezione civile quando si avvista il maltempo. A decidere se le Regioni sono nella zona rossa, gialla o verde sarà il ministro della Salute, Roberto Speranza sulla base dell’indice Rt sui contagi (sopra 1,5 scatta l’allarme) e di altri 20 parametri che non vengono valutati sulla singola giornata, ma su almeno due o tre settimane consecutive. Per cui oggi nessuno di noi saprebbe dire se la propria Regione - per me e per gran parte dei nostri lettori è il Lazio - appartenga alla zona rossa, gialla o verde. E non è un dettaglio da poco, perché fra una zona e l’altra le regole cambierebbero notevolmente.

In quelle verdi ci sarebbero solo le regole comuni nazionali, in quelle rosse si tornerebbe sostanzialmente al lockdown totale della prima fase del virus, in quelle gialle una via intermedia, con divieto di movimento fra una regione e l’altra e molte altre limitazioni: didattica a distanza ancora più estesa, esercizi chiusi tutto il giorno e divieto di circolazione già dalle 18 in poi. Ma basta che cambino Rt e altri 20 parametri per fare uscire ad esempio una Regione dalla zona gialla e farla scendere in quella verde o precipitare se i dati sono sfavorevoli in quella rossa. La decisione spetterebbe sempre a Speranza affiancato dal suo principale consulente, che è Walter Ricciardi, il prof che ha detto da febbraio ad oggi tutto e il suo contrario. Ora propenderebbe ad esempio a mettere in zona rossa tutta l’Italia, ma può essere che domani cambi idea come sempre ha fatto in questi mesi.

 

 

Ho riportato le cose come sono state dette dal premier. Ma io stesso non ho capito nulla. Se non un fatto: fra le 20 condizioni quelle che pesano di più sono il «numero di strutture residenziali socio-sanitarie che riscontrano almeno una criticità settimanale» e la «occupazione di posti letto di area medica o terapia intensiva sulla base della effettiva disponibilità della singola struttura ospedaliera, del singolo territorio». Quindi le restrizioni scatterebbero soprattutto in caso di stress del sistema sanitario, fra posti letto indisponibili negli ospedali e terapie intensive insufficienti. A decidere il peso del lockdown dunque sarebbe quello che governo nazionale e in subordine le Regioni avrebbero dovuto fare da marzo ad oggi e invece non hanno fatto. Hanno qualche responsabilità i Governatori, ma è sulle spalle soprattutto del governo centrale il peso di questa inefficienza: è stato dichiarato lo stato di emergenza sanitaria, nominando un commissario straordinario in Domenico Arcuri per questo ed è proprio lì il lato scoperto dell’Italia di fronte al coronavirus.

Ieri Conte ha cercato di confondere un po’ le idee sul punto, dicendo una mezza bugia. Ha citato terapie intensive attivate o «attivabili» per 9.052 posti contro i 5.179 di inizio anno. Poi però ha aggiunto «in questi mesi abbiamo distribuito 3.370 nuovi posti (nuovi ventilatori)», e qui sta la bugia. Un ventilatore non è un posto di terapia intensiva. Per diventarlo ha bisogno di un reparto da costruire o riadattare con i suoi percorsi di entrata e di uscita, ovviamente di letti dotati di prese per l’ossigeno (altrimenti il ventilatore non è utilizzabile), e di un medico anestesista e due infermieri specializzati per ogni postazione. Ci sono i ventilatori, manca tutto il resto e quindi nella stragrande maggioranza dei casi quelle postazioni non sono utilizzabili. Fare propaganda su questo è davvero miserevole. Si è voluto fin qui evitare il lockdown totale per non danneggiare eccessivamente l’economia. Ho l’impressione che la soluzione caotica che è stata partorita sia perfino peggiore di quello. La cosa che più danneggia il sistema economico è sempre la confusione e l’incertezza. Non avere alcuna idea come in questo caso di cosa e quando chiuda e se chiude di cosa e quando riapra è la condizione peggiore possibile per qualsiasi impresa, anche familiare. Più che governanti sembra che abbiamo al comando scienziati pazzi e ideatori di videogiochi (quel rosso-verde-giallo e il sistema entri/esci sembra solo quello). E non c’è affatto da stare tranquilli.
 

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