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D'Amato sotto inchiesta. Come sulle mascherine Zingaretti fa finta di niente

Dopo la beffa sui dispositivi pagati e mai ricevuti, la Regione ha chiuso un occhio

Franco Bechis
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Una cosa abbiamo capito della Regione Lazio all'epoca di Nicola Zingaretti: il suo forte non è farsi restituire i soldi pubblici che con eccesso di generosità ha erogato senza prima controllare dove diavolo fossero andati a finire. Ha fatto scandalo la beffa delle mascherine, dove hanno dato senza indugio un anticipo di circa 14 milioni di euro a un’azienda specializzata in led luminosi che diceva di avere buoni contatti in Cina per le forniture. Sono arrivate una manciata appena di mascherine senza spiegare bene cosa sia successo. Naturale farsi ridare indietro l’anticipo, ma nelle casse pubbliche a mesi di distanza dall'incidente ancora mancano più di 11 milioni di euro. Mica sono lì con i fucili puntati per riaverli: tanto sono soldi dei cittadini.

 

Avessimo letto prima il lungo rapporto investigativo che la guardia di Finanza, nucleo speciale spesa pubblica e repressioni frodi comunitarie, ha stilato per la Corte dei Conti sul caso dell’assessore alla Salute, Alessio D’Amato, avremmo capito che quella indolenza nel richiedere indietro soldi pubblici indebitamente percepiti è proprio un vizio della Regione Lazio. Come potete leggere nel dettagliato articolo di Valeria Di Corrado l’attuale assessore che all’epoca era solo consigliere aveva fatto versare dalla Regione Lazio 275 mila euro a una benemerita onlus che voleva preservare l’Amazzonia dal disboscamento. Solo che quei soldi non sono finiti lì, ma usati da un movimento politico fondato dallo stesso D’Amato anche per la sua campagna elettorale.

 

D’Amato era stato indagato e rinviato a giudizio insieme a tre suoi collaboratori per truffa nei confronti della Regione Lazio, poi fra un cavillo e l'altro sono trascorsi mesi ed anni e il processo si era interrotto, perché ormai era scattata quella meravigliosa prescrizione che è sempre stata l’ancora di salvezza di molti politici italiani nei guai. Ma quei 275 mila euro indebitamente sottratti alle casse pubbliche non sono stati dimenticati dai magistrati contabili, che un solo obiettivo hanno dal lontano 2014: fare tornare quella somma, fino all'ultimo centesimo, nel posto da cui non sarebbe mai dovuta uscire: il bilancio della Regione Lazio.

 

Fosse avvenuto in tutti questi anni magari si sarebbe potuto acquistare davvero qualche mascherina o protezione in più per i poveri medici e infermieri che a febbraio e marzo dovevano combattere il Covid a mani nude. I nostri magistrati contabili sono veri e propri mastini nel difendere nel piccolo come nel grande la finanza pubblica, e cioè i soldi dei contribuenti italiani. Così hanno tempestato di richieste la Regione Lazio: vi state dando da fare per riavere indietro quei 275 mila euro? La segreteria di Zingaretti ha risposto prima di sì, che si erano costituiti per questo parte civile nel processo contro D'Amato & c. Poi con la prescrizione, devono avere deciso che dovesse valere come condono per quel politico che nel frattempo era entrato nelle grazie di Zingaretti.

La Corte non ha mai mollato l'osso in tutti questi anni, e ha continuato a ripetere la stessa domanda alla Regione: state cercando di riavere indietro quel gruzzoletto, perché il danno erariale non è prescritto? Ma di fronte hanno trovato un incredibile muro di gomma a protezione del prediletto di Zinga. Che invece di strigliare D’Amato e intimargli: «apri il portafoglio e restituisci quello che devi», ha pensato bene di dargli altri soldi delle tasse dei cittadini, pagandogli uno stipendio alla cabina di regia sulla sanità regionale e poi dal 2018 promuovendolo pure assessore.

 

Una lezione di vita ai cittadini: se butti via soldi pubblici o li usi in maniera maldestra, ti premiano pure. Il titolare della ditta di led che ha tirato alla Regione Lazio il pacco delle mascherine aveva dunque davanti agli occhi questo esempio luminoso, bisogna capire allora l'ovvio imbarazzo nel prendersela con lui. Ma capiamo anche i finanzieri che sgranano gli occhi esaminando fatture e contabilità di questa brutta vicenda e si chiedono come abbia potuto trascinarsi tanti anni senza che D'Amato sentisse il dovere di restituire quella somma alla Regione che oggi è stato chiamato a rappresentare a così alto livello.

 

 

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