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Conte ormai si crede Prodi. Giuseppi vuole farsi il suo Ulivo

Luigi Bisignani
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Caro direttore, uno, nessuno e centomila: pur di sopravvivere politicamente, «Giuseppi» è disposto a tutto, tributandoci nuove e continue rinascite. Dapprima identificandosi in De Gasperi, poi in Moro, ora è il turno di Romano Prodi, convinto com’è di poter rifondare una sorta di Ulivo 2.0.

Il giochino di costruire il suo partito, con piccoli fuoriusciti grillini e cattolici di professione, è stato scoperto troppo presto e il premier camaleonte si è adattato ancora una volta alle contingenze politiche. Per questo si sta facendo in quattro come ambasciatore tra Grillo e Zingaretti proponendo loro un nuovo Rinascimento, che possa rilanciare il disastrato Movimento 5 Stelle insieme al Partito democratico, quello che lui ama definire pomposamente «l’Ulivo del secondo millennio».

Nel progetto, che forse sarà testato alle elezioni regionali in autunno e con la ricandidatura di Beppe Sala a Milano alle elezioni comunali dell’anno prossimo, si «scommette» sulla ripresa dell’Italia, che avverrà, ça va sans dire, per fasi, grazie all’azione del suo governo e che si stabilizzerà nella prima metà del 2022, operando sostanzialmente su tre assi: 1) il Governo dei territori inteso come una nuova visione delle Città Metropolitane; 2) la capacità dello Stato di intervenire velocemente a livello finanziario ed economico, investendo nei settori più profittevoli del prossimo decennio: innovazione, cultura, turismo, agritech, biotech, ecc.; 3) la dotazione di una classe politica nazionale competente in grado di compiere scelte coraggiose e rivoluzionarie che pongano le basi per nuovi schemi geopolitici incentrati su economie più verticali e meno globalizzate.

Il tutto, inutile sottolinearlo, con al centro Conte-Re Sole, forte dei compiacenti sondaggi che poi la grancassa di Palazzo Chigi amplifica e diffonde, incurante delle drammatiche difficoltà in cui versano milioni di italiani.

Da parte sua, Beppe Grillo - desideroso soprattutto di tornare a riempire i teatri e con una propensione, da sempre, per il mondo «illuminato» della sinistra, in particolare genovese, dai tempi di De André fino a Renzo Piano - è certo che senza un programma simile il suo Movimento finirà per implodere, a ciò si aggiunge l’angoscia di aver perso consenso con la base elettorale che lo accusa di essersi rinchiuso, molto prima del virus, nel suo buen retiro. Quel consenso dovuto, in realtà, alla geniale operazione che era riuscito a mettere in piedi Gianroberto Casaleggio e che è continuata per un po’ anche con il figlio Davide, fino a quando non hanno rotto clamorosamente per dissidi economici. Incapace di organizzarsi, Grillo, a parte le suggestioni mediatiche secondo cui basta ancora un suo segnale per far tornare l’armonia all’interno del Movimento 5 Stelle, oggi può contare solo sull’ala pentastellata più a sinistra, rappresentata da Roberto Fico e Paola Taverna.

E, certamente, alla base non è piaciuto il modo con cui «l’elevato» ha bollato come «descamisado» Alessandro Di Battista, che in verità è più ragionevole di quanto faccia credere, oltre ad essere depositario di alcuni rapporti internazionali, dal Venezuela all’Iran, che se non lo travolgono possono tornargli utili.

Ma Zingaretti, che con Grillo ha stabilito un sottile filo, sa bene che tutti i Ministri dell’attuale Governo e i principali esponenti del suo partito considerano il Premier Inaffidabile. Peraltro, anche Luigi Di Maio, che ancora tiene saldamente in mano i gruppi parlamentari e sta tessendo una efficace rete di rapporti fatica a far digerire «Giuseppi» ai grillini, soprattutto dopo la kermesse degli Stati Generali e il continuo rinvio della tanto agognata «fase tre» della ripresa.

Riuscirà, a Conte, l’ennesima reincarnazione alle spalle degli italiani? Forse solo se continua l’assordante silenzio del Quirinale di fronte alla gravissima crisi economica e sociale in cui versa l’Italia. Magari Mattarella spera così di rimanere al Colle per un altro settennato. Quieta non movere.

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