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Tregua finita e governo a rischio. Tra Salvini e Di Maio volano gli schiaffi

Carlantonio Solimene
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La luna di miele tra Luigi Di Maio e Matteo Salvini sembra essere già giunta al capolinea. Almeno in apparenza. Dopo le critiche del centrodestra alla presa di posizione del MoVimento 5 Stelle su Palazzo Chigi espressa da Alfonso Bonafede - "o Di Maio premier o si torna al voto" - le scintille sono proseguite oggi, con il capo politico dei grillini che ha attaccato il leader della Lega e quest'ultimo che ha risposto a stretto giro con gli stessi toni. "Salvini dice che gli bastano 50 voti. Vuole fare il governo con i 50 voti del Pd di Renzi in accordo con Berlusconi? Auguri!" ha scritto Di Maio su Twitter. "Da solo Di Maio dove va? Voglio vederlo trovare 90 voti dalla sera alla mattina. O ci sono accordi chiari prima, oppure la vedo difficile" ha replicato il leader della Lega. Sullo sfondo un Pd che, per il momento, non sembra intenzionato a fare da stampella a nessuno. "Ragazzi, scusate se interrompo il vostro affettuoso corteggiamento... ma coi voti del Pd non farete alcun governo perché i nostri parlamentari staranno all'opposizione. Buon proseguimento" ha scritto su Twitter il presidente del Partito Democratico Matteo Orfini. L'atteggiamento di chiusura del Nazareno, peraltro, si giustifica con la tensione sorta sul nodo delle vicepresidenze delle Camere, con l'accordo che prevedeva due poltrone per i Democratici ormai saltate, soprattutto per la volontà del MoVimento 5 Stelle di avere nell'ufficio di presidenza di Montecitorio una maggioranza autosufficiente per poter procedere senza intoppi al promesso taglio dei costi della Camera. L'impressione, però, è che si tratti ancora di schermaglie "tattiche", scontate dopo che gli elettorati di Cinquestelle e Lega hanno guardato con sospetto all'alleanza delle due forze sul nodo delle presidenze delle Camere. I grillini temono l'abbraccio "mortale" con Forza Italia, il Carroccio al momento non vuole rompere la coalizione di centrodestra e fa muro contro i veti di Di Maio. Tutto, insomma, resta rimandato al 3 aprile, quando si apriranno i portoni del Quirinale per l'inizio delle consultazioni. Una pratica che dovrebbe rivelarsi tutt'altro che breve. Con il "fattore tempo" che potrebbe spingere all'accordo tra le due forze vincitrici delle elezioni, sebbene i toni bellicosi delle ultime ore. Anche perché l'opzione di riserva - il Pd a fare da stampella dell'uno o dell'altro - sembra inattuabile visto il fermento nel gruppo dei Democratici, tutt'altro che compatto. Come le fibrillazioni sull'elezione dei capigruppo di Camera e Senato ha dimostrato.

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