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Monti dimostri di apprezzare l'aiuto dei partiti

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La colazione di lavoro, propiziata dal capo dello Stato, tra il premier Mario Monti e Alfano, Casini e Bersani, segretari dei partiti che sostengono il governo, ha un significato politico inequivocabile. Non si tratta affatto, come da qualche parte si è detto, di una rivincita della politica, ma piuttosto del contrario.   Il fatto che i leader dei partiti abbiano abbandonato la prassi di sentirsi (malgrado le smentite) unilateralmente e segretamente con il premier e si siano ritrovati attorno a un tavolo, malgrado le loro inconciliabili differenze, è la conferma che questo governo, nato in maniera atipica rispetto alla tradizione e frutto di uno «stato di eccezione», è, piuttosto che un «governo tecnico», un «governo di unità nazionale» nei cui confronti i partiti (e, per essi, i loro leader) hanno margini di manovra assai ridotti. Lo ripeto: un «governo di unità nazionale» chiamato ad affrontare l'emergenza di una guerra che si sta combattendo non già sui campi di battaglia classici con armi tradizionali ma sui mercati finanziari con le armi subdole dello spread e dei declassamenti delle agenzie di rating. Un governo, insomma, mutatis mutandis, come quello che, in altri tempi e in altre circostanze storiche, fu guidato da Winston Churchill per salvare il proprio Paese dalla megalomane follia hitleriana. Naturalmente con una differenza di non poco conto: Mario Monti non è Winston Churchill. Come pure, i partiti italiani che lo sostengono non sono quelli inglesi che sostennero, a suo tempo, lo statista britannico. Ma, detto questo, va pure aggiunto che, allo stato attuale, non c'è altro di meglio, all'orizzonte, sul quale confidare.   La colazione offerta da Monti è assimilabile a un «vertice di maggioranza» nel quale i segretari dei partiti sono stati chiamati non a confrontarsi tra di loro né a proporre più o meno efficaci panacee per guarire i malanni del momento, ma ad ascoltare (e recepire) quello che, tra Palazzo Chigi e il Quirinale, si ritiene sia più opportuno mettere in cantiere. Ogni altra lettura è inesatta, fuorviante e inadeguata a cogliere la realtà dei fatti.   Insomma, nessuna resurrezione della politica, dal vertice prandiale di ieri, ma soltanto una indiscutibile presa d'atto della sua emarginazione e sudditanza. E la conferma che il governo intende andare avanti con un avallo di tipo politico. Il premier ha potuto sedersi tra i convitati offrendo loro, come aperitivo, gli elogi del presidente del Consiglio Europeo Herman Van Rompuy sugli interventi di austerità varati dal governo italiano e sul progettato programma di liberalizzazioni, nonché l'assicurazione che il rafforzamento del fondo salva-Stati avverrà prima del previsto. E, come digestivo, lo sberleffo dei mercati alla scure di Standard & Poors sull'eurozona. E ciò avrà contributo, è presumibile, ancor di più, a mantenere la distanza fra il «governo di unità nazionale» e i segretari dei partiti che, volenti o nolenti, lo sostengono. E a far sì che Monti abbia potuto ottenere quello che, in realtà, intendeva avere convocando i segretari di Pdl, Pd e Terzo Polo: la promessa, cioè, di una mozione unitaria di sostegno al governo da approvare in Parlamento e da esibire come copertura e legittimazione politica nelle sedi internazionali. Detto questo, però, resta il fatto che l'eclissi o, se si preferisce, la sudditanza della politica non è sufficiente ad assicurare il prestigio (e, quindi, il futuro) di un governo che, finora, si è limitato a imporre manovre recessive, che mostra di impantanarsi nella carnevalata di pretese e risibili liberalizzazioni, che si rivela troppo acquiescente ai ricatti e alle imposizioni di strutture corporative e sindacali. E che, ancora, appare incapace, non già di assumere, ma neppure di proporre provvedimenti credibili sul tema della riduzione dei costi della politica. Né, infine, ad avviare misure di riforma strutturale e di ammodernamento delle istituzioni. Il «governo di unità nazionale» è un governo di guerra, necessario per ridimensionare le pretese del direttorio franco-tedesco e respingere gli attacchi speculativi contro l'economia italiana. Ma per essere un governo vero e destinato a durare, esso ha bisogno di recuperare la politica, nel senso nobile e alto della parola, e preoccuparsi davvero di intervenire strutturalmente perché il Paese possa imboccare il cammino della ripresa.

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