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Il Colle alla ricerca del tempo perduto

Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano

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Di nomi, naturalmente, Giorgio Napolitano non ne ha fatti nel forte discorso pronunciato ieri per gli auguri di Natale e fine anno alle alte autorità dello Stato invitate al Quirinale. Ma quello di Susanna Camusso, la segretaria generale della Cgil, doveva ben essere presente nella sua mente quando egli ha biasimato i giudizi «perentori» e «sprezzanti» che hanno fatto irruzione nel dibattito politico di questi ultimi giorni. Che la Camusso, appunto, spalleggiata in verità dai colleghi degli altri sindacati, ha voluto esasperare contestando anche come "donna" il ministro del lavoro Elsa Fornero, azzardatasi a riproporre la necessità e l'urgenza di una riforma del cosiddetto mercato del lavoro per farla finita con una scandalosa discriminazione in atto da troppo tempo. È quella fra i superprotetti e supergarantiti, tutelati per esempio dall'articolo 18 dello statuto dei diritti dei lavoratori, non licenziabili senza giusta causa nelle aziende sopra i 15 dipendenti e reintegrabili per ordine giudiziario, e gli altri, peraltro ben più numerosi, condannati al precariato. O ad altre condizioni di minorità. La Fornero, che il grande pubblico ha imparato a conoscere vedendola piangere in diretta, alla televisione, dopo il doveroso intervento sulle pensioni per contenerne i costi, è rimasta talmente scioccata, se non intimidita, dalla reazione della Camusso e compagni da avere giustamente intravisto e lamentato le tensioni, cioè le violenze, degli anni Settanta. Quando i terroristi speculavano pure sulle proteste sindacali per scegliere i loro bersagli. Alla segretaria della Cgil non avrà fatto piacere sentirselo di fatto ricordare, ma così andarono effettivamente le cose. E bisogna evitare che si ripetano all'ombra della "emergenza" che ha causato il primo provvedimento del governo, in via di approvazione definitiva al Senato, e delle "altre", sempre di emergenze, che il capo dello Stato ha voluto prevedere o annunciare, conoscendo dalla sua postazione le condizioni del Paese più e meglio degli attori, protagonisti e non, del dibattito mediatico e politico. Ha avuto coraggio, la Fornero, a rinfrescare la memoria dei suoi critici, diciamo pure avversari, ricordando gli anni Settanta. Ne ha avuto meno quando ha cercato di attutire lo scontro precisando di non avere esplicitamente chiamato in causa nelle dichiarazioni contestategli dalla Camusso l'articolo 18. Voleva dire, evidentemente, di avervi solo alluso, ritenendo sufficiente il richiamo esplicito di altri sostenitori della riforma del mercato del lavoro, a cominciare dal senatore del Pd e giuslavorista Pietro Ichino. Ebbene, è forse ora che anche lei si decida a non limitarsi ad alludervi ma a parlarne più chiaramente, senza lasciarsi paralizzare da veti espressi o solo minacciati. Il coraggio, in qualche modo, ha cercato ieri di infonderlo al ministro del Lavoro proprio il presidente della Repubblica, pur senza citarlo direttamente. A lui evidentemente è bastato e avanzato il mese scorso nominarlo a quel posto, accogliendo la proposta formulatagli dal presidente del Consiglio Mario Monti, secondo le prerogative assegnate all'uno e all'altro dall'articolo 92 della Costituzione. Sullo spirito e sulle modalità di formazione del nuovo governo il capo dello Stato ha voluto opportunamente soffermarsi a lungo, com'è del resto nel suo stile, essendo abituato a spiegare bene, persino nei dettagli, le decisioni che prende quando una crisi di governo, o la promulgazione di una legge particolarmente contestata dalle opposizioni di turno, gliele impone. A questo proposito egli non solo ha rivendicato la scelta compiuta conferendo l'incarico di presidente del Consiglio ad una personalità politicamente neutra come Monti, già commissario europeo una volta per decisione di un governo di centrodestra e un'altra per decisione di un governo di centrosinistra, ma ha contestato puntigliosamente le tesi di costituzionalisti più o meno improvvisati che hanno indicato in questo passaggio addirittura una "sospensione" della democrazia, condita di "strappi" e "forzature". Di sospesa, in realtà, c'era solo, prima di ricorrere a Monti, la capacità della politica di affrontare i nodi della crisi economica e finanziaria, e non solo quelli, per la "incomunicabilità" creatasi tra i partiti, dopo una lunga e sterile contrapposizione. Della quale si è «responsabilmente» reso conto - ha riconosciuto Napolitano - anche il predecessore di Monti, cioè Silvio Berlusconi, dimettendosi il mese scorso dopo una importante, per quanto non decisiva, votazione parlamentare. Che in effetti non era stata di esplicita fiducia o sfiducia. Del nuovo governo non sembra piacere al presidente della Repubblica solo l'aggettivo "tecnico", assegnato al suo complesso e ai ministri un po' da tutti noi giornalisti e dai partiti e relativi gruppi parlamentari, che ne hanno fatto largo uso nei dibattiti alle Camere. Egli preferirebbe che si scrivesse e parlasse di ministri «indipendenti». Indipendenti cioè dagli schieramenti che appoggiano il governo e dai partiti che li compongono. E in grado, proprio perché indipendenti, nonostante il diverso parere della Camusso, di garantire quel clima diverso, di ritrovata comunicabilità, nel quale si è entrati da qualche settimana. Un clima che va rafforzato nella «strada lunga e in salita» - ha ricordato Napolitano - che è davanti a tutti, probabilmente destinata a rimanere tale, pur se il capo dello Stato non ha voluto dirlo apertamente, anche dopo la scadenza elettorale ineludibile del 2013, alla scadenza del mandato delle Camere elette nel 2008. Ed anche del suo mandato presidenziale di sette anni, cominciato nel 2006. Significativo, e anch'esso condivisibile, è infine l'appello del presidente della Repubblica a quello ch'egli ha chiamato un «sussulto conclusivo» dei partiti per realizzare in questo scorcio di legislatura almeno alcune, le più urgenti evidentemente, delle riforme istituzionali e persino costituzionali che anche lui si era augurato, o illuso, potessero essere fatte al suo inizio, tre anni e mezzo fa. Sembrava infatti che ce ne fossero le condizioni per una certa sintonia mostrata nella campagna elettorale fra gli antagonisti di allora: Berlusconi e il segretario pro-tempore del Pd Walter Veltroni. Se sarà possibile «recuperare» davvero il troppo tempo perduto, come ha auspicato Napolitano, lo vedremo presto, forse già nelle prime settimane dell'anno nuovo.

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