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"Un voto per cambiare l'Europa"

Silvio Berlusconi

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Presidente Berlusconi, quelle di oggi e domani sono innanzi tutto elezioni per il Parlamento Europeo. Con quale obiettivo Lei ha deciso di guidare le liste del Suo partito? Qual è il prossimo passo importante che deve compiere l'Europa? Vorrei, prima di tutto, farle notare che in questa campagna elettorale c'è una grande differenza tra noi e la sinistra. Invece di parlare di Europa, la sinistra ha preferito cavalcare il gossip, il giustizialismo e la demonizzazione dell'avversario, con una maldicenza continua anche a costo di calpestare il diritto alla privacy. Non mi stupisce. In Europa la nostra sinistra è come un pesce fuor d'acqua: il Pd non sa neppure a quale gruppo del Parlamento europeo iscriverà i propri eletti. Noi, invece, coerenti con la nostra storia e con i nostri valori, continuiamo a perseguire una politica di riforme indispensabili per realizzare il sogno europeista, che mira a costruire un soggetto politico mondiale forte, autorevole e portatore di pace. Oggi purtroppo l'Europa, così com'è, lascia molto a desiderare. C'è troppa burocrazia, troppe norme che imbrigliano e mortificano le imprese invece di aiutarle a vincere le sfide sui mercati internazionali. Troppe norme lontane dai cittadini e dalla vita di ogni giorno. Dobbiamo incidere sui meccanismi decisionali, renderli più concreti e più vicini alla realtà. Abbiamo la moneta unica e il mercato unico. Ma questo non basta più. Dobbiamo pretendere una voce unica dell'Europa in politica estera, dobbiamo avere un esercito unico e una difesa comune europea cui tutti contribuiscano, ottimizzando le risorse nazionali, dimezzando così i costi di ciascun Paese. Dobbiamo colmare altre lacune, così da avere una politica dell'energia, della sicurezza e dell'immigrazione che siano veramente comuni. Tutto ciò richiede anche un "premier europeo" che resti in carica non solo sei mesi come avviene adesso per il presidente di turno del Consiglio dei capi di Stato e di governo, ma per un tempo più lungo, almeno tre anni come prevede il Trattato di Lisbona. Un tempo adeguato a realizzare un programma che sia "sentito" dai cittadini europei come proprio. Tra poche settimane l'Italia ospiterà il G8, che lei ha voluto a L'Aquila. Quale risultato si prefigge da presidente della riunione? Sarà un G8 innovativo e ambizioso. Anzitutto, vogliamo rafforzare il confronto diretto con le economie emergenti. Le sfide che ci troviamo a fronteggiare, dalla crisi economica e finanziaria ai cambiamenti climatici e alla fame nel mondo, esigono risposte globali, da assumere insieme. Il G8 è uno strumento efficace perché ristretto, ma dovrà confrontarsi con il G5 (Cina, Brasile, India, Messico, Sudafrica) e l'Egitto, che ho voluto invitare all'Aquila in quanto importante Paese arabo e musulmano. Il confronto si allargherà quindi ai Paesi africani, a Spagna, Danimarca, Olanda e Turchia e agli altri Paesi emettitori di gas serra, per discutere temi come la sicurezza alimentare e i cambiamenti climatici. Sul fronte economico, stiamo lavorando alla definizione di un Global Legal Standard, un codice di norme per regolare il mondo finanziario ed economico in modo da scongiurare il ripetersi di una crisi così grave. Affronteremo poi la dimensione sociale della crisi e tutti i dossier "caldi" della politica internazionale. Presiedo il G8 per la terza volta dopo Napoli nel 1994 e Genova nel 2001. La missione di questo G8 è far sì che i leader prendano le decisioni giuste e siano vicini ai cittadini, specie ai più deboli. Come segnale di sobrietà, per risparmiare e mostrare la solidarietà del mondo alla popolazione abruzzese colpita dal terremoto, abbiamo deciso di spostare il vertice dalla Maddalena all'Aquila, una scelta che è stata apprezzata da tutti i capi di Stato e di governo che vi parteciperanno. Tra dieci giorni lei vedrà a Washington il presidente Obama. Il cambio di colore politico dell'amministrazione americana avrà effetti sui rapporti con l'Italia? Come giudica i primi passi della Casa Bianca sui dossier più delicati del mondo: crisi finanziaria, Iran, Pakistan e Corea del Nord? Giudico in modo assolutamente positivo tutto ciò che il Presidente Obama ha fatto sin qui. Con lui la tradizionale amicizia e sintonia di vedute fra Stati Uniti e l'Italia è destinata a rafforzarsi ancora. La forza di questo rapporto è radicata anzitutto nella solida amicizia che lega i nostri due popoli e dalla condivisione profonda di un modello politico economico e sociale, che pone al centro di tutto la libertà. Gli Stati Uniti sono per tutto il mondo il paese della libertà, e quindi, chiunque ne sia il presidente, noi siamo con loro. In concreto Obama ha dato importanti segnali di speranza e di apertura ed ha dimostrato anche grande fermezza verso chi, come la Corea del Nord, mette in pericolo la sicurezza e la pace. Ancora una volta, l'Italia si sente in sintonia con la politica estera americana. Il presidente Obama ha rivolto ieri al mondo islamico un discorso di grande apertura. Siamo in grado di dire che la grande tensione figlia dell'11 settembre inizia a trovare una soluzione? Con il suo discorso al Cairo, Obama ha gettato le basi di "un nuovo inizio" nei rapporti col mondo islamico. Una stagione che guarda al futuro, e non al passato, e che potrà dare buoni frutti. Ha descritto una strategia complessiva basata sulla fiducia e al riguardo della violenza e dell'odio. Obama pensa a un Irak affidato agli iracheni, al dialogo con l'Iran, alla pacifica convivenza fra due stati, Israele e Palestina. E' una prospettiva che condividiamo e siamo pronti a aiutarlo, a mettere a disposizione la nostra capacità tutta italiana di dialogo. Ora però sta ai principali protagonisti del mondo arabo dare risposte adeguate. Sono certo che la gran parte degli stati e dei popoli islamici voglia, come noi, una prospettiva di pace e di sicurezza nel Mediterraneo e nel Medio Oriente. E' superfluo aggiungere che in questo quadro la sicurezza e l'integrità di Israele rimangono irrinunciabili. In Italia lei sta sperimentando la guida di un governo sostenuto da una coalizione che si regge su due partiti essenziali, Pdl e Lega. Questa formazione semplificata sarà la chiave di svolta per le grandi riforme che attende il Paese? Il Popolo della Libertà ha come obbiettivo nel tempo quello di arrivare ad ottenere più del 50 per cento dei consensi elettorali. E' un'ambizione legittima, perché le moderne democrazie si reggono su un sostanziale bipartitismo, sul confronto tra due grandi partiti. Chi vince governa per cinque anni. Chi perde esercita il controllo. Oggi in Italia siamo in presenza di un bipolarismo che rappresenta comunque un passo avanti rispetto al passato. Grazie alla legge elettorale da noi introdotta, e criticata a sproposito, un anno fa il popolo italiano ha ridotto il numero dei partiti presenti in Parlamento. I gruppi parlamentari sono scesi infatti da 14 a 6. Questo tipo di bipolarismo consente alla nostra maggioranza di votare anche da sola le riforme necessarie per ammodernare l'Italia. Lei ha spesso criticato le lentezze delle istituzioni della Repubblica, Parlamento in testa. Quale progetto ha in mente su questo punto? Perseguirà l'obiettivo della riduzione dei membri delle due Camere con iniziativa di legge popolare? Non ho mai fatto critiche generiche, né ho mai detto che il Parlamento è inutile. Ho soltanto cercato di spiegare che è difficile governare se il presidente del Consiglio non ha alcun potere, tranne quello di redigere l'ordine del giorno del Consiglio dei ministri. Un bicameralismo perfetto richiede tempi incompatibili con le continue emergenze con cui il Paese si trova a fare i conti. Una mancanza di efficienza che non ha certo trovato dei correttivi nel fatto che in Parlamento ci sono 630 deputati e 315 senatori, che votano le leggi guardando il pollice rivolto in alto o in basso dei capigruppo. Chiedere un parlamento più efficiente significa volerlo rafforzare, non certo indebolirlo. Oggi, così com'è, il Parlamento ha perso parte della sua funzione. Noi vogliamo ridargliela. Per questo, già nella legislatura 2001-2006 avevamo approvato una riforma costituzionale che riduceva il numero dei deputati e dei senatori, affidava il potere legislativo alla sola Camera dei deputati e istituiva il Senato delle Regioni. Quella riforma è stata contrastata dalla sinistra, che la fece abrogare con un referendum popolare. Ora la sinistra dice di avere cambiato idea, di essere d'accordo con il nostro progetto di dimezzare il numero dei parlamentari. Se manterrà la posizione e confermerà di essere pronta a votare, saremo lieti di condividere una legge di iniziativa parlamentare sulla riduzione di deputati e senatori. Noi comunque andremo avanti. Per questo nei prossimi giorni, allestiremo i gazebo per raccogliere le firme che servono ad un disegno di legge di iniziativa popolare per varare una riforma che porti alla riduzione del numero dei parlamentari. Il suo principale alleato, Umberto Bossi, dice che lei non farà campagna elettorale per il referendum di giugno. Sarà così? Quale risultato auspica veder uscire dall'urna? L'alleanza con la Lega è a prova di bomba? È fuori di dubbio che se il referendum superasse il quorum e avesse successo, sarebbe un grande passo avanti sulla strada del bipartitismo. E' questo l'obbiettivo del Popolo della Libertà. Per questo voterò sì, nell'interesse del Paese, prima ancora che del PDL. E nessuno meglio di Bossi, che è un amico prima ancora che un alleato, mi può capire. Però lo confermo, non farò nessuna campagna. E' giusto che su questo tema ogni italiano voti secondo coscienza. Il 2009 è l'anno della grande crisi economica. Lei ha fatto grandi sforzi di ottimismo, di cui le va dato atto in un panorama dominato dai "corvi". Vede una luce in fondo al tunnel? Cosa si deve fare per avere un'Italia economicamente più dinamica? Per contrastare la crisi, il governo ha fatto tutto ciò che si doveva fare, e l'ha fatto bene. Abbiamo messo in sicurezza i conti pubblici con la finanziaria triennale, scongiurando l'ennesimo assalto alla diligenza. Abbiamo protetto le famiglie, il risparmio e le imprese, mettendo a disposizione delle banche le risorse necessarie per fare in modo che il flusso del credito non si interrompesse. E abbiamo garantito un sostegno a chi perde il lavoro portando a 32 miliardi di euro le risorse per gli ammortizzatori sociali. Ora sono sempre più numerosi quelli che dicono che il peggio è alle nostre spalle. Lo penso anch'io, anche se la crisi non è finita e la sua estensione nel tempo dipenderà moltissimo dalla reazione psicologica dei consumatori. Purtroppo, la canzone del catastrofismo cantata dalla sinistra e dai suoi media, ha avuto effetti dannosi sull'economia. Potremo superare davvero la crisi solo se convinceremo chi può a non modificare il proprio stile di vita nei consumi e a non avere paura. E' una scelta di buon senso, la stessa linea che sta seguendo anche il presidente Obama negli Stati Uniti. Un'azienda italiana, la Fiat, è oggi al centro di un processo di aggregazione mondiale di produttori d'automobili. L'accordo con Chrysler c'è, mentre quello per Opel sembra tramontato. Nel lungo periodo sapremo conservare tutti i posti lavoro sul territorio italiano del nuovo colosso che nasce?   Autorevoli economisti hanno spiegato che sul mercato mondiale dell'auto vi sarà spazio, nei prossimi anni, per non più di cinque o sei grandi gruppi. La partita per Opel sembra tutt'altro che chiusa, la Fiat si candida autorevolmente a essere uno di questi attraverso un'intelligente politica di acquisizioni e di alleanze che avrà riflessi positivi anche sulla tenuta dell'occupazione. Il governo, che ha supportato la Fiat nelle fasi più difficili e da ultimo anche attraverso gli incentivi al settore auto, sta lavorando per aprire un tavolo con l'azienda e le parti sociali sulle prospettive occupazionali future dell'azienda. Il punto fermo è la salvaguardia degli impianti e dei posti di lavoro in Italia, un impegno che peraltro il dottor Marchionne ha più volte ribadito e che non dubitiamo vorrà onorare. Questa campagna elettorale si è molto caratterizzata per vicende che riguardano la sua persona. Come giudica il comportamento dell'opposizione? La sinistra ha davvero toccato il fondo. Si sono resi conto di essere senza leader, senza idee, senza programmi, senza futuro. Così hanno rispolverato il metodo stalinista della distruzione dell'avversario e si sono buttati in una spregiudicata campagna di disinformazione e calunnia ai danni del Presidente del Consiglio. Gli italiani si sono resi conto di quello che è successo e tutte queste menzogne si sono già rivelate un boomerang per il Pd. E' ormai chiaro a tutti gli italiani di buon senso che una sinistra del genere non può né governare né rappresentare l'Italia.

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