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Afghanistan, si cambia. No alla fiducia Il vicepremier fa il premier per un giorno

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Non è il premier, ma solo uno dei suoi due vice. Però, non c'è dubbio che Massimo D'Alema sia il vero «lìder» della maggioranza. E da autentico punto di riferimento carismatico e politico della coalizione governativa esprime il suo pensiero senza paura di essere in contraddizione con gli alleati. Ecco allora che a proposito dell'argomento più scottante del momento, la Finanziaria, D'Alema traccia una linea di comportamento assai peculiare: è contrario alla «blindatura» della fiducia, ammette che il «pacchetto» è stato confezionato male e venduto peggio, critica senza peli sulla lingua il meccanismo della Manovra e chiede di riformarlo, pur difendendo il principio di equità sociale che ha ispirato la legge. Non solo. Sull'altrettanto spinosa questione afghana, terreno di duri contrasti fra moderati e «radicali» dell'Unione, ipotizza un «ripensamento delle linee d'azione». Un intervento, come al solito, acuto e intelligente, quello del vicepresidente del Consiglio considerato non a torto la vera «mente» del centrosinistra. «Sono tra quelli che credono non sia necessario mettere la fiducia, ma dipenderà anche dal comportamento dell'opposizione», ha spiegato. «Mi sento corresponsabile di aver venduto molto male un prodotto che alla fine si rivelerà assai meno negativo di come è stato recepito», ha aggiunto il ministro degli Esteri, precisando che la Manovra «è la più vasta per dimensioni dopo quella del '92 del governo Amato». E «questo ovviamente comporta sacrifici rilevanti: si poteva non fare, ma il Paese avrebbe pagato un prezzo molto alto». Insomma, si tratta di «una scelta dolorosa ma che ci riporta in linea con tutta l'Europa, forse - spiega - dovevamo spiegarla meglio al Paese. Si tratta di una terapia dura, il cui impatto si misurerà nel tempo». Dunque, per il vicepremier questa «è la scommessa: liberare il Paese dal peso dell'oppressione dei conti pubblici e consentire di procedere con le riforme. Per farlo occorre il dialogo, ma ancor di più la stabilità del Paese». Stabilità che si può raggiungere anche a patto di riconoscere i propri errori e di volerli correggere. «Bisognerebbe coraggiosamente riformare il meccanismo della Finanziaria», osserva infatti D'Alema criticando quelle che egli stesso definisce «confuse» procedure di formazione della manovra economica. A suo parere, «il fatto che il Paese si fermi per mesi in un confronto in cui, forze politiche, governo, categorie si affollano, porta a creare solo confusione». Sembra di essere, continua, in un «gigantesco suk arabo, dove ciascuno cerca qualcosa». Per il responsabile della Farnesina, «è un meccanismo che dovrebbe essere drasticamente rivisto» come quei Paesi «in cui le finanziarie sono secche, asciutte e inemendabili» (e come lui la pensano i diplomatici che il 7 dicembre hanno indetto uno sciopero). Fin qui la critica. O, meglio, l'autocritica. Il capo della diplomazia italiana, tuttavia, sottolinea anche gli aspetti positivi della Manovra, che avrebbe «rispettato il criterio di equità sociale». D'Alema ha tenuto a rilevare che «non esiste nessun odio classista verso i ricchi». E assicura: «Abbiamo ragionato come il buon padre di famiglia: nel momento dei sacrifici chi ha qualcosa di più contribuisce in una misura più rilevante». Il vicepremier ha poi evidenziato il forte impegno contro l'evasione fiscale e per lo sviluppo, sottolineando che «il taglio di tre punti del costo del lavoro non ha precedenti». Il presidente dei Ds ieri ha parlato anche dell'Afghanistan. E pure in questo caso ha tracciato un percorso tutto suo. «Ci vuole un forte rilancio dell'azione internazionale, forse anche un ripensamento delle linee di azione, potenziando gli aspetti politici, economici e umanitari - ha detto, confermando che sabato si recherà a Kabul - dato che sul piano meramente militare è difficile trovare una soluzione alla crisi in atto», Anche perché l'Italia, impegnata nell'ambito di un

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