
Giustizia, magistrati e correnti: Matteo Renzi a valanga a Quarta Repubblica. E difende Palamara: "La vera ipocrisia..."

“Anche i magistrati devono pagare se sbagliano, la giustizia va cambiata.” Così Matteo Renzi, ospite in prima serata della puntata di lunedì 6 giugno di Quarta Repubblica, il talk show politico condotto da Nicola Porro su Rete Quattro. Il leader di Italia Viva, che è da poco uscito in libreria con il suo libro “Il Mostro”, lunedì 6 giugno racconta in breve le sue vicende giudiziarie e difende a spada tratta l’altro ospite presente in studio, l’ex pm Luca Palamara, affermando che è ipocrita farlo passare come un capro espiatorio.
“Farnesina meglio del Cepu”. Renzi demolisce Di Maio. Poi il retroscena sul Quirinale
Il “sistema” della magistratura corrotta è molto più ampio e molto più radicato. “Lo sanno tutti che quello che Palamara faceva allora, lo facevano tutti – palesa l’ex premier -. Far passare Palamara come un capro espiatorio è una barzelletta che non fa ridere... è un’ipocrisia.” Renzi sostiene che il Consiglio Superiore di Magistratura continua a fare ciò che ha sempre fatto, con le stesse “regole correntizie” che ne condizionano l’operato.
"Ha in testa il partito dei garantisti". Bisignani smaschera Renzi: così mette fuori gioco Conte e Letta
“Io continuo a sognare un sistema in cui le regole cambino e diventino come per i sindaci. Prima o poi mi daranno ragione, ma lo diranno tra dieci vent’anni” sottolinea il fondatore di Italia Viva, che torna più volte sull’importanza di riformare la giustizia, anche grazie al referendum del 12 giugno, perché il problema non riguarda solo i politici ma anche e soprattutto i cittadini: “I magistrati non sono cittadini di serie A, e se sbagliano devono pagare come tutti gli altri. La giustizia va cambiata perché un cittadino che va in tribunale non deve chiedersi a quale corrente appartiene un giudice” conclude Renzi.
Dai blog

Carlo Conti vince ancora. Scoppia la Sanremomania


La magia dei Pink Floyd torna a suonare nell'anfiteatro di Pompei


Da Jackson ai Beach Boys: quando le canzoni finiscono in tribunale
