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Sanremo dimostra che i talk show non servono per fare politica

Gianluigi Paragone
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L’ho detto nei giorni scorsi e lo ribadisco: una politica seria e matura non si mette a discutere del festival e non parte da lì per ribaltare i vertici dirigenti della Rai. La Rai è una azienda controllata dal ministero del Tesoro che ne decide i dirigenti senza dover dare troppe spiegazioni; pertanto quando il direttore più potente della Rai (Stefano Coletta) chiede alla politica di restare fuori dalle polemiche- «Stiamo qui solo a parlare di questo, degli attacchi della politica, non di un festival che sfiora il 70% di share» - commette lo stesso errore dei politici giudicanti. La Rai è avvitata al governo nel senso che è l’azionista quindi è l’editore; i dirigenti sono liberi di agire ma non sono gli editori e non hanno libertà editoriale in senso stretto. Il festival è un prodotto di successo da un punto di vista dell’ascolto, ma pensare che tutto quel 70 per cento concordi con le idee di Coletta e Amadeus è presuntuoso.

 

Il festival è un prodotto televisivo delicatissimo: attira sponsor e inserzionisti che pagano fior di soldi per essere lì. Sono un pezzo fondamentale del fatturato pubblicitario. E poi lo è anche da un punto di vista discografico visto che lo streaming delle canzoni è uno degli introiti del settore e dà l’abbrivio ai tour, cioé alla «ciccia» del mercato discografico. Il festival ha fatto il botto, ha fatto discutere e quindi è un prodotto difficile da smontare fintanto che pubblicità e discografia convergono nel tenere in piedi un circo redditizio. Sabato sera Fiorello è stato perfetto nella sintesi: nemmeno il bar di Guerre Stellari sarebbe riuscito a convogliare così tanti personaggi. Ogni anno l’asticella sale di una tacca, e se l’anno passato le critiche erano per Achille Lauro quest’anno lo sono state per Rosa Chemical.

 

«In confronto Achille Lauro sembrava Cristina D’Avena». In codesto circo Barnum ogni personaggio caricaturale era al posto giusto per lo spettacolo perfetto. Uno spettacolo da circo dove persino Jimmy il Fenomeno si sarebbe trovato fuori luogo. È stato tutto spinto oltre, in una scrittura debordante, freak, che però diventa lo specchio del nostro passato prossimo. Una inguardabile Ornella Vanoni (sì, va bene, bella voce, brava ma anche basta così) ci rivela quel che siamo e saremo: facce gonfie di botox, pittate, su vestiti sgargianti che avvolgono corpi sfatti da un nulla concettuale. Il nulla diventa lo Show, depositando una tristezza di fondo.

 

Qualcuno si è indignato. E perché mai? Per culi tette sex toys «limoni omo» ed esercitazioni di spadaccino? Allora non avete contezza di quel che sui cellulari è già virale da tempo. Sanremo è la proiezione di una subcultura che sui social domina: questa è la vera lezione del festival che la politica non vuole capire. Sono anni e anni che la politica crede di addomesticare il pubblico puntando sul controllo dell’informazione o dell’infotainment non capendo che nel frattempo direttori di prodotto (qual è Coletta) agiscono nella rai -modulazione accordandola con la «fluidità». L’identità deve sparire perché pericolosa. Tutti uguali, tutto standardizzato. I tempi sono dettati dai social che rendono normale ciò che vent’anni fa non lo era: nel 2001 Eminem fece il dito medio rivolgendosi alla platea dell’Ariston mentre Ceccherini si divertiva con battute da caserma che non andarono giù alla moglie del presidente Ciampi, la signora Franca. Vent’anni fa appunto; tutto diventa relativo rispetto ai tempi. Coletta non faccia la verginella tirando in ballo attacchi omofobi: la scelta di puntare sulla questione lgbt è una sua personale battaglia politica. Oggigiorno gli adolescenti si dividono sulla normalità di vivere la propria sessualità pensando che la libertà coincida con le performance degli ospiti del bar di Guerre Stellari. Ma il panorama dei diritti è ben più largo e profondo dell’azione di Coletta e Amadeus, la cui provocazione è diventata parodia.

 

Allora domando: avete paura a parlare dello sfruttamento dei lavoratori? Della vergognosa voragine salariale tra garantiti e partite iva? Questi dirigenti baldanzosi hanno capito che robot e intelligenza artificiale cancelleranno diritti e identità? Oppure stanno lavorando per una nuova pseudo normalità dove i testi saranno scritti con ChatGpt e cantati da umanoidi? Potrei continuare così parlando della sostituzione del cibo con nuovo junk food, (con relativi risvolti legati alla salute delle persone) oppure degli sfrattati o ancora di come sono ridotte le periferie per colpa della sinistra al caviale... Il governo non può pensare di cambiare i vertici della Rai senza avere chiaro il progetto culturale: questo è il compito di un editore e fintanto che la Rai è una tv pubblica controllata dal ministero dell’economia (Fuortes chi lo ha messo lì? E Coletta, chi lo protegge al vertici di una delle direzioni più strategiche? La fata turchina? Suvvia...). L’ascolto record non basta per ritenersi intoccabili fintanto che la Rai ha questa peculiarità: si vuole essere misurati solo sull’ascolto? Allora la si venda e si giochi la partita sul mercato. Ma una azienda sull’orlo del fallimento non reggerebbe senza canone. Dunque il governo ha tutto il diritto di cambiare i vertici, ma ha anche il dovere di dirci che progetto editoriale ha e se lo intende proteggere con gente di prodotto. Altrimenti lasci perdere.

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