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Sanremo, per il Pd è stato il Festival più bello del mondo

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Christian Campigli
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L'ancora di salvataggio prima di affogare. L'ultimo passo che precede la catastrofe. L'assurda convinzione che la Rai, la televisione di Stato pagata e mantenuta con i soldi dei contribuenti, costretti a versare ogni anno il canone, sia un'azienda di partito. Il Pd dimostra, ancora una volta, come la visione stravolta della realtà lo stia portando verso un baratro profondo. L'ultimo esempio di questa discesa verso gli inferi è rappresentata dalla valutazione, a dire poco entusiasta, dell'ultimo Festival di Sanremo. Una kermesse nella quale la musica ha fatto solo da contorno alla rappresentazione plastica di un'idea di società nella quale non esistono uomini e donne, ma solo istinti primordiali, che ci fanno amare oggi i primi e domani i secondi. Fluidi, pronti a destrutturare la famiglia, base assoluta della nostra società e desiderosi di fumarsi una bella canna di hashish o marijuana prima di andare a letto. Un modello che poco piace all'attuale maggioranza di centrodestra, che non ha affatto apprezzato certe uscite, in particolar modo quella di Fedez.

 

Il rapper, manco a dirlo, è stato prontamente difeso dalla presidente dei senatori del Partito Democratico, Simona Malpezzi, che ha risposto su Twitter alle prese di posizione dei dirigenti di Fratelli d'Italia: «È paradossale che FdI chieda le dimissioni dei dirigenti Rai responsabili della performance di Fedez: sul palco non ha detto nulla di nuovo. FdI vuole governare limitando la libertà di espressione? Tira aria di Minculpop». Le fa eco Irene Manzi, capogruppo Pd commissione cultura della Camera. «L'attacco ai vertici Rai da parte di FdI è inquietante nel merito e nel metodo. Ma ritengo, alla luce delle polemiche che stanno proseguendo in queste ore, che lo siano ancora di più le parole, sottovalutate, pronunciate da Gianmarco Mazzi, sottosegretario alla cultura. Senza mezzi termini invoca un cambiamento dei dirigenti Rai funzionale a una nuova narrazione del Paese dopo la vittoria elettorale della destra. Qui non si tratta più semplicemente di spoil system, ma del tentativo di forzare il cambiamento di modelli culturali. Un tentativo di dire senza mezzi termini che il servizio pubblico è alle dirette dipendenze di chi vince le elezioni. La libertà editoriale è la forza dell'informazione e la libertà di espressione un cardine della nostra democrazia».

 

«Non vorrei che la premier Meloni e la sua classe dirigente - incalza - volessero reprimere entrambi nel nome dell'affermazione di un'egemonia culturale che non si costruisce a colpi di epurazioni. Hanno già occupato i tg Rai in un modo che non ha precedenti, adesso pensano di mettere il bavaglio agli artisti o di scegliere quelli più utili alla costruzione di una nuova narrazione? Sarebbe un fatto grave che direbbe molto della qualità e delle intenzioni di chi ci governa». 

 

Parole chiare, che evidenziano ancora una volta due aspetti: il primo riguarda la presunta (ma considerata tale dalle parti di Botteghe Oscure) superiorità morale dei progressisti. Secondo la loro distorta visione dell'universo, il centrodestra potrà anche vincere le elezioni, ma non si deve azzardare a mettere mano ai centri di potere. In particolar modo, a quelli culturali. Il secondo evidenzia la siderale distanza dal proprio elettorato: fin quando il Pd lo identificherà nella miliardaria, snob e radical chic Chiara Ferragni, il centrodestra potrà dormire (e governare) tra quattro comodi cuscini.
 

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