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Qatargate e Soumahoro, è crollato il mito dell'uomo buono di sinistra

Gianluigi Paragone
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Quando il gatto non c'è i topi ballano, era solita ripetere mia nonna. Ecco, per capire cosa unisce la vicenda delle cooperative legate alla suocera e alla moglie di Soumahoro e il vergognoso scandalo internazionale sulle mazzette pagate da emiri del Qatar e, scopriamo adesso, dagli 007 marocchini alla ong Fight impunity, potremmo partire dall'assenza del gatto. Anche perché i topi che ballano e che sguazzano nel ricco formaggio iniziano a essere noti (e siamo solo all'inizio). Chi sono i gatti allora? Tutto quel mondo di salotti, di relazioni, di amicizie legate alla sinistra (dal Pd ad Articolo 1 passando per Verdi e Sinistre varie) cui viene comodo mettersi la cipria del buonismo e dividere il mondo in buoni e cattivi, misericordiosi e diavoli, in uomini e bestie, in fascisti e non si sa bene cosa.

Però si tratta di una divisione ipocrita: ipocrita nel presupposto iniziale (solo loro sono i buoni) e ipocrita nello svolgimento e ipocrita pure nello scaricabarile, si affrettano a dire gli habitué dei filantropi, come Emma Bonino membro onorario della Fight Impunity di Panzeri, o la giuria vip che premiava la suocera di Soumahoro come imprenditrice dell'anno. Certo, loro non c'entrano nulla ma la domanda è: a che serve avere un ruolo se poi ci si disinteressa della cosa?

 

Altrettanto sicuramente «non potevano mica immaginare» quelli di Palazzo Marino che continuavano a dare soldi alle cooperative di Marie Terese. Nessun politico sa; anzi si sbrigano a lavarsene le mani. E invece no.

Siccome, appunto, nessun medico prescrive di entrare a far parte delle Ong e nessuno ordina di dare soldi pubblici per il solo fatto che «fanno del bene», allora va detto a chiare lettere che se un politico decide di entrare in un board o di assegnare soldi (pubblici) a chi sembra che faccia del bene, ci metta la faccia, la testa e soprattutto occhi e orecchie. Perché altrimenti la politica abdica dalla sua funzione di controllo.

Lo stesso vale anche per i giornalisti - specie i compagnucci - per i quali Latina non poteva che essere nient' altro che la questione sulla dedicazione di un parco al fratello minore di Mussolini e quindi non c'era tempo per ascoltare coloro che già parlavano dei mancati pagamenti della Karibu e di altre cose maldestre. Ma il salotto dei Buoni non poteva ascoltare. Non loro e non altri sindacati se non la Uiltucs. I Fazio, i Saviano, i Damilano non potevano dare retta alle denunce, perché dovevano costruire il mito dell'uomo buono (Soumahoro) contro il leghista cattivo. E non c'era nemmeno tempo per capire il senso di certe aperture fatte a Bruxelles da alcuni parlamentari socialisti. Così come non c'è mai tempo per fare del sano giornalismo d'inchiesta sulla frenetica attività di lobbisti al soldo delle multinazionali e dei fondi nelle istituzioni europee. Come per esempio Big Pharma (si potranno mai leggere gli sms tra la Von Der Leyen e l'ad di Pfizer?). Non c'è mai tempo perché ormai la propaganda supera i fatti. Fintanto che la complicità e il silenzio non tengono più e la bolla esplode. Liliane Murekatete, la moglie del compagno dagli stivali sporchi Aboubakar, è indagata dalla Procura di Latina nell'ambito dell'inchiesta che coinvolge la Karibu e la Aid.

 

Con lei c'è la madre Marie Terese Mukamitsindo e altri quattro nomi. Sarebbero dunque almeno sei gli indagati dai magistrati, che tra l'altro hanno applicato il sequestro preventivo «del profitto del reato» per oltre 639mila euro nei confronti di un indagato e di oltre 13 mila nei confronti di altri due indagati. Le procure arrivano dopo solo perché prima non erano intervenuti la politica e il giornalismo, cioè i gatti che dovrebbero tenere a bada i topi. E guai a pensare che si tratti di casi isolati o che il parlamento non sia un luogo debole; lo è da tempo, da quando cioè i centri decisionali sono altrove. In mezzo operano i lobbisti, per conto di chi ha tanti ma tanti soldi per oliare. Ed è meglio oliare i buoni, perché i riflettori non si accendono se non a cose fatte e comunque possono disporre di una rete di protezione. Ecco perché per dirla con il Giorgi, ex assistente di Panzeri e compagno della (ora) ex vicepresidente Kaili, «le Ong servono per far girare i soldi».

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