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Le colpe della Sinistra sui festeggiamenti del 25 Aprile

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Riccardo Mazzoni
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Alla domanda se celebrerà o no il 25 Aprile, il presidente del Senato La Russa aveva risposto: «Dipende. Certo non sfilerò nei cortei per come si svolgono oggi. Perché lì non si celebra una festa della libertà e della democrazia ma qualcosa di completamente diverso, appannaggio di una certa sinistra».

Apriti cielo: complice un titolo all'intervista del tutto fuorviante, come se La Russa ripudiasse i valori del 25 aprile, la sinistra si è scatenata con le solite richieste di dimissioni, la Resistenza offesa e violata e il ritornello secondo cui la destra italiana non avrebbe ancora ripudiato il fascismo. Chi pensava che il voto del 25 settembre e il chiaro discorso alle Camere della premier Meloni avessero posto le basi per ritessere finalmente il filo della coesione nazionale e di una memoria condivisa aveva dunque preso un altro grande abbaglio. L'illusione della raggiunta pacificazione nazionale aveva già preso forma il 25 aprile del 2009 ad Onna, il paesino dell'Abruzzo martoriato dal terremoto, quando Berlusconi parlò - applaudito - col fazzoletto partigiano al collo e fece più o meno questo ragionamento: dobbiamo lasciarci definitivamente alle spalle gli ultimi lasciti di una Guerra Fredda che ancora oggi divide troppo spesso il Paese in schieramenti ideologici e non in legittime contrapposizioni che partano però da una coscienza comune e dal riconoscimento delle reciproche ragioni. Questo purtroppo non è successo, c'è stata spesso, invece, un'opposizione preconcetta e distruttiva, che qualche forza politica ha spinto fino al linguaggio dell'odio continuo e violento. Vedo ancora in giro troppo odio, e la storia recente ci ha insegnato che troppo spesso l'odio ha poi armato la mano dell'eversione.

Di questo tutti dovremmo essere consapevoli e preoccupati. La tregua però durò pochissimo, perché la caccia a Berlusconi riprese più forte di prima, fino ai festeggiamenti davanti al Quirinale quando fu costretto a dimettersi da premier. E allora è utile ripassare la storia della seconda Repubblica per capire chi ha voluto che il 25 aprile restasse una data divisiva nella storia del Paese, e tutti gli indizi portano inevitabilmente al riflesso pavloviano della sinistra di considerare quella data come una sua esclusiva proprietà ideologica. Il Pd ha sempre rivendicato, ad esempio, la grande manifestazione del '94, in cui la gioiosa macchina da guerra appena sconfitta democraticamente scese in piazza non tanto per celebrare il giorno della Liberazione dal, quanto per inaugurare una nuova Resistenza contro il ritorno del fascismo capeggiato dal Cavaliere nero.

Dunque, se la mobilitazione antifascista del '94 rappresenta ancora «la risposta democratica all'ascesa al governo di una forza figlia del fascismo come il Msi», si può supporre che un simile pregiudizio resti vivo a sinistra nei confronti di una premier cresciuta nel Fronte della Gioventù. Tre anni fa la polemica sul 25 aprile investì Salvini, allora ministro dell'Interno, che scelse di disertare i cortei della Liberazione preferendo andare a Corleone per solidarizzare con le forze dell'ordine in trincea contro la mafia, nella convinzione che fascismo e nazismo fanno solo parte di un terribile passato che non tornerà. Ma se avesse deciso di sfilare in un corteo cosa sarebbe accaduto? Sarebbe sicuramente stato sommerso dai fischi e dagli insulti, come insegna la storia delle migliaia di manifestazioni celebrative con il presidio fisso delle bandiere rosse e con l'ostilità manifesta, spesso sfociata in violenza, nei confronti dei rappresentanti del centrodestra. Se siamo, tristemente, l'unico Paese europeo che non è riuscito a mettere insieme uno straccio di memoria collettiva, forse la responsabilità dunque non è di La Russa, né di Berlusconi e nemmeno di Salvini, ma di chi per convenienza politica non esita a cancellare i faticosi passi avanti fatti sulla strada della riconciliazione nazionale - da Fini in poi la destra ne ha fatti eccome di questi passi - e ricaccia così indietro le lancette della storia.

Per questo l'invito di Letta a La Russa («Lo aspetto in piazza, ha una grande occasione di pacificazione, la sfrutti») ha il suono sordo delle monete false e appare più una provocazione che un appello davvero costruttivo.

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