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In Italia occorre una legge sull'intelligenza artificiale. Il settore è da regolare

Cosimo Fabrizio Dell'Aria
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«Da quassù la terra è bellissima, senza frontiere né confini»: questa frase, del famoso astronauta sovietico Jurij Gagarin, rappresenta una perfetta sintesi di quanto ci si possa auspicare, oggi, in tempi di guerra, ovvero un mondo, per l'appunto, senza frontiere, né confini. Questi confini, tuttavia, esistono e non mi riferisco solo a quelli territoriali (talora drammaticamente violati da qualcuno che si arroga arbitrariamente il diritto di farlo), ma anche a quelli virtuali. La Cina, ad esempio, pur occupandosi dell'assemblaggio dell'autovettura Tesla, ne ha vietata la vendita, tacciandola di essere una «macchina-spia», per il solo fatto che, grazie al sistema Over the Air (OTA), essa è in grado di captare e registrare suoni e immagini, sia all'interno, sia all'esterno dell'abitacolo. Certo, questo bando, al pari di altri divieti vigenti nella Terra del Dragone (la mancanza di Facebook, il divieto di siti per incontri, la censura di alcune serie televisive , ecc... ), accompagnati dalla solita motivazione («Mettono in discussione la Costituzione cinese e in pericolo la sovranità nazionale, provocando problemi nella società»), non fa, più di tanto, notizia. Ciò che, semmai, desta scalpore - ma questa è un'altra storia - è che tali divieti valgano solo all'interno del Paese, in quanto concepiti a scopo di tutela nei confronti dei cittadini, essendo, viceversa risaputo l'ampio utilizzo che dei summenzionati sistemi informatici la Cina fa, al di fuori dei propri confini, ad esempio per acquisire dati commerciali e chissà che altro.

 

 

Cosa accade, invece, in Europa? Con l'IA Act (Azione Europea sull'Intelligenza Artificiale), il vecchio continente si è limitato a sancire una serie di principi generali, senza imporre alle società produttrici un confine normativo riguardante l'uso degli algoritmi, ma, d'altra parte, siamo una democrazia liberale nella quale i Paesi membri seguono i dettami generali, per poi disciplinare e normare. Quindi, non arriveremo mai a vietare, come invece accade, ancora una volta, in Cina, che, su Tik Tok, social network peraltro cinese, siano postati video che durino più di 5 minuti, in quanto una tale limitazione da noi porterebbe, addirittura, alla nascita del partito dell'«autodeterminazione sull'uso delle APP», il quale potrebbe, forse, anche diventare un partito di maggioranza relativa. In Italia, in buona sostanza, l'argomento è, ad oggi, trattato con distanza e diffidenza, come se la cosa non ci riguardasse, ma, la nostra cultura e l'attenzione per la tutela della nostra qualità produttiva potrebbero suggerirci una soluzione semplice e di facile applicazione. Sarebbe auspicabile, infatti, che il Ministro Giorgetti, competente, per il suo Dicastero, in tema di certificazione dei prodotti, proponesse, in sede europea, l'istituzione di una certificazione volontaria - tipo Ecolabel-, volta a rendere pubblica, ai clienti delle App, una serie di dati che garantiscano loro trasparenza e sicurezza: si potrebbero, ad esempio, rendere disponibili, ai consumatori, le informazioni concernenti l'allocazione dei server in cui sono depositati i dati sensibili, affinché essi possano sapere a chi sono venduti e per che genere di campagne, chi sono gli amministratori delle società che li utilizzano, se queste rispettano i principi etici dettati dalla Commissione Europea e cosi via. Infatti, la volontarietà della certificazione, la cui adozione potrebbe essere attestata da un semplice bollino blu, oltre a favorire, nel contesto europeo, la nascita di un mercato etico dei sistemi informatici, determinerebbe, nel consumatore, un uso consapevole e trasparente degli stessi, inducendolo ad una maggiore fidelizzazione nei servizi offerti.

 

 

Così facendo, rispetteremmo i nostri principi liberali: non si tratterebbe, infatti di un confine, sia pure virtuale, di una dogana o di un'imposizione legislativa, ma di un riconoscimento consapevole nei confronti di quelle aziende che agiscono in maniera trasparente ed etica e, al tempo stesso, di una difesa per i consumatori dall'uso di servizi che minino la sicurezza dei loro dati. In questo modo, dunque, non porremmo nessun tipo di confine, virtuale o non, ma renderemmo meritevole della nostra attenzione ciò che è più rispettoso dei nostri diritti, ciò che è più etico. Per concludere, a differenza del modello cinese, che, all'interno dei propri confini, prevede forme di controllo dei sistemi informatici al limite della illiberalità, per poi utilizzare, al di fuori del proprio territorio, questi stessi sistemi in nome di preminenti interessi di egemonia commerciale e di chissà quale altro genere, sarebbe opportuno, per quanto concerne il nostro vecchio, caro continente, avviare un sistema di certificazione che impedisca il proliferare di sistemi informatici non verificati, ma sempre e comunque nel rispetto dei nostri principi democratici e liberali. Diceva, infatti, Giulio Andreotti «a pensar male si fa peccato... Ma spesso si indovina».

 

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