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Fallimenti di Stato. Aziende rischiano di chiudere perché la pubblica amministrazione non paga

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Luigi Frasca
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Anche se il numero dei fallimenti di aziende registrato negli ultimi due anni non sia particolarmente elevato, il rischio che, dal prossimo autunno, torni ad aumentare in misura preoccupante è alquanto probabile. A dirlo è l'Ufficio studi della Cgia di Mestre. Tra il deterioramento del quadro economico generale - ascrivibile al caro energia/carburante e all'impennata dell'inflazione - l'impossibilità di cedere i crediti acquisiti con il superbonus 110 per cento - che ammontano a circa 4 miliardi di euro - e i mancati pagamenti della Pubblica Amministrazione nei confronti dei propri fornitori - che secondo l'Eurostat sono almeno 55,6 miliardi di euro - molte attività commerciali e produttive rischiano di dover portare i libri in tribunale. Con una specificità tutta italiana; per molte di queste imprese la chiusura definitiva non sarà causata dall'impossibilità di pagare i propri debiti, ma per crediti inesigibili, ovvero per insolvenze in grandissima parte imputabili alle inadempienze della nostra Pubblica amministrazione.

 

 

Circa le ragioni per cui gli artigiani mestrini ipotizzano che al rientro dalle ferie i fallimenti potrebbero subire un forte innalzamento, se si guarda la serie storica degli ultimi 10 anni, il picco massimo delle «chiusure» è stato raggiunto nel biennio 2014-2015, ovvero 1,5/2 anni dopo la crisi del debito sovrano che ha colpito pesantemente il nostro Paese. Pertanto, come in tutte le recessioni, gli effetti si esplicitano successivamente. Davanti a norme incerte che da mesi stanno condizionando negativamente l'applicazione del superbonus del 110 per cento, gli intermediari finanziari (banche, istituti finanziari, etc.) hanno praticamente bloccato gli acquisti del credito, sottolinea la Cgia.

 

 

Attualmente sono oltre 5 i miliardi di euro di crediti in attesa accettazione; di questi, circa 4 si riferiscono a prime cessioni o sconti in fattura. A fronte di questa situazione le imprese del comparto casa (edili, dipintori, installatori impianti, falegnami, etc.) non sono più in grado di fare gli sconti in fattura. E con crediti fiscali già acquisiti e non cedibili, che in molti casi ammontano a centinaia di migliaia di euro per singola azienda, molte realtà si trovano in crisi di liquidità e sul punto di sospendere i cantieri, non essendo più in grado di pagare i fornitori. Ma la situazione più problematica rimane lo stock dei debiti commerciali di parte corrente in capo alla nostra Pubblica Amministrazione. Nel 2021, infatti, i mancati pagamenti ammontavano a 55,6 miliardi di euro. Ciò vuol dire che le imprese che lavorano per la PA non hanno ancora incassato una cifra spaventosa che è pari al 3,1 per cento del Pil nazionale, sottolinea la Cgia.

 

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