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Riforma elettorale, dare un premier all'Italia è l'unico obiettivo

Benedetta Frucci
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A un anno dalla scadenza della legislatura, il clima in politica è già da piena campagna elettorale. Ma fra distinguo e annunci, nessuno sembra fare i conti con la realtà: con questo sistema istituzionale sapremo chi avrà vinto le elezioni, forse, ma non chi ci governerà altri 5 anni. L’altro giorno per dire, Enrico Letta ha chiarito che il Pd non governerà mai più con «le destre», escludendo quindi ogni futura alleanza di governo con Lega, Fratelli d’Italia e pure con Forza Italia. Subito dopo è arrivato Matteo Salvini a rinsaldare il concetto: mai più con la sinistra.

Parole, dichiarazioni d’intenti che si scontrano con un parlamentarismo deviato che si fa beffe della volontà degli elettori e che suonano come prese in giro da campagna elettorale, visto che nei fatti, l’ultimo governo espressione della volontà popolare è stato quello di Berlusconi, caduto nel 2011, e - pur se nato su impulso di Napolitano - quello Renzi, legittimato dal 40% riscosso alle europee. Perché se è vero - e non ci vuole un costituzionalista per dirlo - che in Italia si eleggono i membri del Parlamento e non il Premier, è altrettanto vero che quando un cittadino vota un determinato partito, lo fa esprimendo anche la volontà che quel leader sia il futuro premier.

Invece ci siamo così abituati a vedere nomi tirati fuori dal cappello dei partiti o del Quirinale - l’apoteosi è stata l’arrivo dello sconosciuto Giuseppe Conte - che perfino sentir invocare un nuovo Governo Draghi dopo il 2023 ci lascia totalmente indifferenti. Per quanto Mario Draghi sia una guida autorevole e sicura per il Paese e senz’altro sarebbe importante porsi il tema della vigilanza sull’attuazione del Pnrr, bisogna anche ricordare che, a meno che Draghi non si candidi alle elezioni, saranno i partiti che avranno la maggioranza in Parlamento a dover indicare il Premier.

In questo clima, solo Giorgia Meloni e Matteo Renzi si pongono il problema di riportare la voce dell’elettorato dentro i palazzi. La prima, con la sua storica battaglia per il presidenzialismo, il secondo chiedendo l’elezione diretta del premier: lessici diversi per soluzioni simili. Il Matteo Renzi che ha fatto e disfatto 3 governi in questa legislatura, ha infatti detto più volte come, pur essendo fiero di aver rimosso Conte e favorito l’arrivo di Draghi, i partiti dovranno sedersi ad un tavolo e riscrivere le regole del gioco perché il rischio concreto è quello che gli italiani smettano di credere nelle istituzioni. Discorsi razionali che si scontrano con le promesse elettorali degli altri leader, che dovrebbero spiegare agli elettori come intendono formare un governo monocolore con questo sistema. E soprattutto chiedersi se, dopo 11 anni di governi arrangiati, non sia l’ora di dare al Paese quella stabilità, quella chiarezza e quell’ordine che soltanto una riforma costituzionale in senso presidenziale può garantire.
 

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