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Mario Draghi paciere solo a parole: pronto il terzo invio di armi all'Ucraina e prende tempo con il Parlamento

Dario Martini
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Il viaggio a Washington ha permesso a Draghi di tornare "colomba" per due giorni. Ha dimostrato, almeno a parole, di essersi sganciato dall'alleato americano, assicurando che l'Italia percorrerà ogni canale possibile per raggiungere «il cessate il fuoco e l'avvio di negoziati credibili». Il premier lo ha spiegato anche ieri in Consiglio dei ministri ai componenti del governo, informandoli che si è attivato affinché ci possa essere un contatto telefonico tra Biden e Putin. Poi ci sono le azioni concrete. E quelle dicono che il governo sta ultimando il terzo decreto interministeriale per spedire una nuova fornitura di armi all'Ucraina. I tempi sono strettissimi. Il provvedimento dovrebbe essere adottato in questi giorni, quasi sicuramente prima di giovedì, quando il presidente del Consiglio terrà la tanto attesa informativa alla Camere. Gli invii degli armamenti non richiedono alcun passaggio parlamentare. Il governo ha già ottenuto il via libera a marzo con un voto a larga maggioranza. Fino al 31 dicembre potrà mandare a Kiev tutte le armi che vorrà. Lo ha spiegato a più riprese il ministro della Difesa Lorenzo Guerini.

 

 

Prima di volare da Biden, fonti di Palazzo Chigi hanno tenuto a precisare che la richiesta di far esprimere il Parlamento, come vorrebbe Giuseppe Conte, è «isolata». In realtà, non è così. La Lega ha la stessa posizione. Anche sull'informativa di giovedì al momento non è prevista alcuna votazione. Le comunicazioni in Aula del premier, con successivo voto sulle risoluzioni, infatti, sono automatiche solo per i Consigli ordinari, non altrettanto per quelli straordinari. «Draghi svolgerà un'informativa giovedì prossimo, prima al Senato e poi alle 11,30 a Montecitorio. Per ora è questo, poi vedremo se sarà anche altro», ha detto il presidente della Camera Roberto Fico, che per la prima volta si è espresso sul tema. Il costituzionalista e deputato del Pd Stefano Ceccanti è convinto che «non ci sarà nessun voto sull'imminente decreto interministeriale di aiuto alla legittima difesa dell'Ucraina», proprio perché «sono ancora pienamente vigenti come fondamento giuridico e politico fino al prossimo 31 dicembre le risoluzioni molto puntuali votate alle Camere il primo marzo scorso», che prevedono anche «la cessione di apparati e strumenti militari che consentano all'Ucraina di esercitare il diritto alla legittima difesa e di proteggere la sua popolazione».

 

 

Come per le due volte precedenti, il terzo decreto sarà secretato. Il governo non renderà pubblico l'elenco degli armamenti. Le indiscrezioni dicono che in questa fornitura ci saranno i blindati Lince, droni da ricognizione, armi anti -carro e mitragliatrici. Ma anche mezzi di trasporto anti -mina, sistemi di difesa anti-droni, cingolati per il trasporto truppe e semoventi di artiglieria. Da non dimenticare che l'Italia manderà anche circa 800 militari in Bulgaria e Ungheria, come ha annunciato pochi giorni fa il ministro Guerini. In questo caso ci sarà da aspettare un po' di più. Almeno un paio di settimane, quando verrà portato in Consiglio dei ministri la "delibera missioni". Insomma, tra armamenti consegnati direttamente nelle mani dei militari di Zelensky e l'invio di nostri soldati non lontano dal confine ucraino, ci sono argomenti a sufficienza per i partiti di maggioranza (Lega e M5s in testa) che non si fidano della svolta pacifista di Draghi. 

 

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