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È tutta colpa di Vladimir Putin. La resistenza passiva dei servizi segreti russi: “Non siamo allineati”

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«Per la prima volta gli apparati non sono allineati con il Cremlino. Pensano che ci sia un solo uomo da incolpare per tutti gli errori commessi in Ucraina e che quell’uomo sia Vladimir Putin». A dirlo, in un’intervista a Repubblica, è Andrej Soldatov, esperto dei servizi d’intelligence russi che insieme a Irina Borogan ha fondato il sito web Agentura.ru (bloccato una settimana fa dalla censura moscovita) e scritto diversi libri. «Putin - spiega - ha cambiato le regole del gioco. E lo ha fatto drasticamente. Non aveva mai attaccato pubblicamente i suoi uomini, gli uomini dei servizi». Soldatov sottolinea: «Quest’operazione è totalmente diversa dal passato. Gli apparati del potere erano tutti d’accordo con l’invasione della Georgia nel 2008 e l’annessione della Crimea nel 2014. Stavolta no. E pensano ci sia solo Putin da incolpare. Non si tratta ancora di crepe o di una resistenza aperta, ma di presa di distanza. Si sentono tutti vittime degli errori di Putin. E stanno opponendo una resistenza passiva. Resta da vedere a che cosa porterà». Un’operazione diversa dalle altre anche «perché è iniziata con un attacco contro l’intelligence. Alla riunione del Consiglio di sicurezza, Putin ha umiliato pubblicamente il direttore dell’intelligence estera, Svr, Serghej Naryshkin. Due settimane e mezzo dopo, abbiamo saputo di purghe all’interno del dipartimento estero dell’Fsb, un dipartimento cruciale perché è responsabile delle operazioni nell’ex Urss e in Ucraina. Due alti dirigenti sono stati interrogati e messi agli arresti. Dovevano insediare politici filo-Cremlino e hanno fallito. Non c’era sostegno popolare né politico per un’invasione in Ucraina ed era loro compito garantire entrambi». 

 

 

In questo momento, «Putin è contrariato, persino arrabbiato, con i protagonisti dell’operazione in Ucraina, e la Guardia nazionale è tra questi. Non è contento dell’operazione, ma crede ancora nella bontà del suo piano originale. E pur di non ammettere colpe, cerca capri espiatori: intelligence errata, sottrazione di fondi, traditori…». Peraltro, spiega Soldatov, Putin non aveva informato dei suoi piani neanche i fedelissimi: «Molti erano all’oscuro, quanto meno della portata dell’operazione. Credevano che si sarebbe limitata a Lugansk e Donetsk. O che sarebbe stata condotta diversamente. Nell’Fsb c’è un’ossessione per i raid Nato in Jugoslavia del ’99. Il successo dell’operazione li ha convinti che basti bombardare un Paese per sovvertirne gli equilibri. Pensavano di replicare quel modello. Invece Putin ha fatto diversamente: lanciato raid aerei e mandato truppe di terra. E ha fatto cilecca». 

 

 

Ora Putin si fida di «quattro o cinque persone al massimo. Il ministro della Difesa Serghej Shoigu, il capo del Consiglio di Sicurezza Patrushev. Jurij Kovalchuk (principale azionista di Rossija Bank, ndr), si dice. E uno o due amici di San Pietroburgo». Su un eventuale rovesciamento del regime, Soldatov spiega: «I russi non sono bravi nelle cospirazioni. Per ordire un golpe bisogna avere il sostegno politico di una sorta d’opposizione e in Russia non esiste. Secondo mie fonti, Putin non era contento della resa militare di Shoigu, che però è insostituibile e potrebbe avergli inviato un messaggio: ‘Non puoi liberarti di me, sono il volto della guerra’».

 

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