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La Cina sapeva ma diede l'allarme dopo sei giorni cruciali per la pandemia

Katia Perrini
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Sei giorni cruciali. È il lasso di tempo in cui, a metà gennaio, la Cina ha mantenuto il silenzio su quello che si manifestava ormai come il rischio di una pandemia legata al Covid-19. Un periodo in cui almeno 3mila persone sono state contagiate e si è accumulato ritardo nella risposta. A rivelarlo sono documenti interni ottenuti da Associated Press, riguardanti i giorni tra il 14 e il 20 gennaio: solo in quest'ultima data il presidente Xi Jinping ha lanciato l'allarme sul nuovo coronavirus, dicendo che andava «preso seriamente». Giorni in cui migliaia di persone hanno preso parte a un banchetto di massa e altre milioni hanno viaggiato a Wuhan, epicentro dell'epidemia, per il capodanno lunare. Quel ritardo, nel primo Paese colpito dalla crisi legata al Sars-Cov-2, è arrivato in un momento critico: l'inizio dell'epidemia. Che in tre mesi si è allargata a tutto il mondo, con oltre 2milioni di contagi confermati e 128mila morti. I sei giorni seguirono due settimane in cui i Centri per il controllo delle malattie non registrarono casi; ma tra 5 e 17 gennaio centinaia di pazienti arrivarono negli ospedali di tutta la nazione. Le motivazioni di questi dati non sono chiare, ma lo è per gli esperti il fatto che controllo dell'informazione, burocrazia e riluttanza a diffondere notizie negative abbiano ostacolato la diffusione dell'allarme. «La situazione dell'epidemia è ancora grave e complessa, la più grave minaccia dalla Sars nel 2003, ed è probabile si sviluppi in un grande episodio di salute pubblica», ha affermato il 14 gennaio il capo della Commissione sanitaria nazionale Ma Xiaowei, in una riunione con le autorità sanitarie locali, secondo il memo ottenuto da AP. Una conferenza organizzata per aggiornare il presidente Xi e la leadership, decisa dopo un caso in Thailandia, che ha allarmato Pechino: con il contagio all'estero, la situazione era «cambiata significativamente», sottolineava il rapporto. Aggiungendo: «Con l'arrivo del Festival di primavera, molte persone viaggeranno e il rischio di trasmissione e diffusione è alto», «tutte le località devono prepararsi a una pandemia e a rispondere a quest'ultima». Ma mentre venivano diffuse alle autorità linee guida e istruzioni, in pubblico i rischi venivano sminuiti. La stessa Commissione ha dichiarato di aver diffuso le informazioni in modo «aperto, trasparente, responsabile e tempestivo». E il governo di Pechino ha più volte negato di aver ostacolato la diffusione di informazioni sull'epidemia, nel suo periodo iniziale, affermando di averne dato subito notizia all'Organizzazione mondiale della sanità. «Chi accusa la Cina di mancanza di trasparenza e apertura è ingiusto», ha commentato il portavoce del ministero degli Esteri, Zhao Lijian. Il presidente statunitense Donald Trump ha più volte accusato Pechino di aver tenuto segreti dati e informazioni, rallentando la risposta globale. Gli Usa hanno comunque avuto due mesi per prepararsi, periodo in cui Trump ha però ignorato gli avvertimenti del suo staff e liquidato la malattia come una piccolezza, mentre il governo non aumentava il numero di dispositivi medici e test. Come lui, altri nel mondo: tra loro il premier britannico Boris Johnson che ha inizialmente guardato alla «immunità di gregge, e il presidente brasiliano Jair Bolsonaro, per cui il Covid-19 non sarebbe altro che una "influenzina". 

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