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Coronavirus e profughi, dramma nel dramma: ecco il fiasco della globalizzazione

L'epicentro del coronavirus è localizzato in Cina e pare che l'infezione abbia origine animale e si sia trasferita nell'uomo sviluppando un processo di espansione contagiosa

Andrea Amata
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I giornaloni progressisti a vocazione ecumenica ospitano interventi che riconducono le emergenze contingenti, connesse all'epidemia da coronavirus e alla crisi dei migranti a regia turca, al fallimento degli stati nazionali. Le penne subalterne alla cultura del pensiero dominante vengono intinte nell'inchiostro rosso per marcare i presunti errori di grammatica istituzionale, attribuendoli all'entità nazionale. Un'acrobazia logica che imputa gli effetti della globalizzazione agli attori che ne subiscono le dinamiche e qualora gli stessi attori tentino di ribellarsi al proprio esautoramento, figlio dell'ideologia globalista, vengono censurati per oltraggio all'impianto sovranazionale che è celebrato nella sua irreversibilità come sistema preferibile al ritorno delle prerogative nazionali. Nel 2001 la Cina entra nel Wto, Organizzazione mondiale del commercio, e si avvia verso un processo di modernizzazione ad alta velocità, irrompendo con i suoi prodotti concorrenziali nel mercato globale. Il Dragone è cresciuto enormemente dal punto di vista economico, ma a pagarne il prezzo sono stati i diritti sociali e ambientali che sono stati sottomessi al forcing produttivo. L'ingresso nel commercio mondiale avrebbe dovuto essere subordinato al rispetto dei canoni legislativi operanti nell'economia di mercato occidentale, mentre la Cina ha perpetuato un modello di sviluppo indifferente alla sostenibilità ambientale e sociale. Dunque, la dottrina globalista incoraggiò l'ingresso della Cina nell'economia mondiale senza un preventivo adeguamento alle norme di produzione vigenti nel contesto occidentale. L'epicentro del coronavirus è localizzato in Cina e pare che l'infezione abbia origine animale e si sia trasferita nell'uomo sviluppando un processo di espansione contagiosa. È lecito pretendere da un Paese, che vuole essere accettato nell'interscambio commerciale, di conformarsi agli standard sanitari degli habitat con cui interagisce? Io credo di sì, perché se le tue abitudini possono implicare rischi planetari ti devi allineare. In merito alla Turchia di Erdogan, che sta violando gli accordi del 2016 che la impegnavano a trattenere i rifugiati siriani in cambio della corresponsione di 6 miliardi da parte di Bruxelles, la pressione sui confini della già logorata Grecia è la conferma del fallimento della gestione sovranazionale del fenomeno migratorio. La Commissione europea negoziò con i turchi l'edificazione del muro con blocchi di banconote per contenere il flusso di profughi originatosi dal conflitto siriano, concedendo peraltro ad Erdogan un potere di ricatto per ulteriori concessioni economiche. Nell'isola greca di Lesbo la popolazione locale sta respingendo i migranti nella totale assenza dell'Europa che, dopo aver vessato con il rigore finanziario gli ellenici e finanziato il sultano turco, si imbatte nelle contraddizioni che essa stessa ha generato. Il dramma di un esodo forzato che confligge con il dramma di una estenuata nazione con l'organizzazione sovranazionale a contemplare inerme il prodotto del proprio fallimento. Orbene, cari progressisti le due vicende, coronavirus e migranti, di cui vi avvalete per diagnosticare le colpe degli stati nazionali sono esemplificative, semmai, della disfatta del modello globalitario che ha attenuato i poteri nazionali estromettendoli dal suo campo di azione. Negli ingranaggi della globalizzazione sono rimasti incastrati gli Stati nazionali che faticano a liberarsi dai rotismi dentati di un processo che, senza un governo di mitigazione nazionale, rischia di frantumare le capacità di controllo e di reazione alle virulenti crisi sanitarie e sociali. Il senso di responsabilità impone di non distogliere nella polemica le energie da dedicare all'obiettivo comune contro il Covid-19, ma a valle di questa fase complicata occorre ripensare la governance della globalizzazione recuperando la centralità dell'ente nazionale.

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